domenica 25 novembre 2007

II Domenica - Avvento Ambrosiano – Anno A

Gesù entra in Gerusalemme (iconografia russa)

Matteo 21,1-9: [1]Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli [2]dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. [3]Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». [4]Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: [5]Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un'asina, con un puledro figlio di bestia da soma. [6]I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: [7]condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
[8]La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. [9]La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! [10]Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». [11]E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».


Cari amici e care amiche,

con domenca prossima (II domenica dell’Avvento ambrosiano, 25 novembre 2007) siamo invitati a mantenere lo sguardo fisso su Colui che viene (adventus, avvento), ascoltando con intelligenza vivace l’episodio narrato dal brano evangelico di Matteo 21,1-9.

Una cultura come la nostra, che non sa aspettare e non sostiene facilmente i tempi di una maturazione lenta e graduale dei valori e delle esperienze, riconduce con immediatezza il tema dell’attesa, propria dell’Avvento liturgico, al Natale di Gesù Bambino. Disattendendo in questo modo ad una corretta educazione a saper attendere, alla capacità di aspettare. Maturando gradulamente l’acquisizione di un valore o di una scelta vocazionale o professinale.
Se la logica dell’accelerazione commerciale (e artificiale) di un prodotto perde facilmente la genuinità, rappresentata da una artigianalità qualitativa, anche la velocizzazione dei metodi di apprendimento e della comunicazione rischiano di non rispettare una acquisizione più matura e consapevole di alcuni valori, umani e spirituali, sempre più necessari e urgenti per la nostra civiltà. Pur rimanendo bloccati per ore nel traffico caotico delle nostre citta, la logica profonda dell’attesa fatica ad educarci davvero. Tendere sempr e costantemente a “qualcosa”, arrivando spesso e comunque ‘in ritardo’, stando alle nostre tempistiche sempre più inadeguate, è altro rispetto a quanto la liturgia dell’Avvento ci vuole trasmettere, chiedendoci un salto qualitativo rispetto al nostro modo di gestire il tempo. Con il tempo liturgico di Avvento non si tratta infatti di aspettare qualcosa, ma propriamente “Qualcuno”.

Ci è chiesto però un supplemento di attenzione. Se l’attesa di qualcosa è sempre un po’ calcolata, Non si può certo calcolare e funzionalizzare Qualcuno. Possiamo semplificare e ridurre l’attesa, a Natale, di Gesù Bambino. Così spesso commercializzato e tradotto in un vecchio e barbuto Babbo Natale. Ma non può essere banalizzata l’attesa di Colui che viene a visitarci, proprio come a Lui anzitutto piace. Su Lui, infatti, va concentrata l’attenzione.
Per questo è decisivo rendersi conto che è anzitutto Dio che viene. Prima ancora del nostro andare volontaristicamnte verso di Lui. Se poi decidiamo di accogliere positivamente questa prospettiva, allora Colui che viene, il nostro Dio, va accolto non come decidiamo di accoglierLo, ma propriamente come Lui stesso ha deciso e decide ancora di venirci incontro.
Dunque, questa potrebbe essere la domanda, più semplice e corretta, che scaturisce dall’esperienza liturgic dell’Avvento: come ci viene incontro Dio, stando alla Paorla evangelica che sarà proclamata in questa domenica?

Intanto, stando al Vangelo di domenica prossima, Gesù ci viene incontro con una immagine più pasquale che natalizia. Un brano evangelico di questo genere noi lo vedremmo meglio collocato a Pasqua che a Natale. Ma è chiaro che la liturgia ci vuole già comunicare che il Signore che viene, che ci viene a visitare, non è semplicemente un uomo, ma è già Colui che darà la Sua vita per noi, passando attraverso l’esperienza dura e dolorosa della Sua morte in croce.
Addentrandoci poi nel brano evangelico, ci si accorge che Gesù ci viene incontro inviando, come fossero i Suoi avamposti, dei messaggeri: “Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: ‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte’”.
Si tratta della modalità d’invio tipica del mandato apostolico, come si afferma anche altrove: “Poi chiamò a sé i dodici e cominciò a mandarli a due a due; e diede loro potere sugli spiriti immondi” (Mc 6,7). Ma chi viene inviato in questo caso è come se venisse coinvolto definitivamente nella Sua stessa missione: “‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito’. Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: ‘Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma’”. Mentre c’è anzitutto “un’asina legata e con essa un puledro”, c’è però anche una richiesta precisa: “scioglieteli e conduceteli da me”.

La condizione nella quale l’umanità si trova è anzitutto soggiogata al peccato, ma appunto Egli viene per scioglierci dal male e così ricomprenderci tutti nel Suo Regno. L’immagine di Gesù che viene per scioglierci dal potere del peccato e della morte potrebbe essere ben interpretata riferendoci al racconto della risurrezione di Lazzaro, quando Gesù dice: “Scioglietelo e lasciatelo andare” (Gv 11,44). Infatti: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (Mt18,18). Da parte dei Suoi discepoli resta piuttosto l’impegno di continuare a ricondurre a Lui l’umanità intera, come è stato loro chiesto: “conduceteli a me”.
Continaundo, dunque, a scavare in questa immagine di regalità e di liberazione propria del nostro Dio che ci viene incontro, ci sarebbe spazio anche per altre precisazioni. Ad esempio, la possibilità di obiettare alla Sua opera di salvezza: “Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno”. Se per un verso l’opera di salvezza è sottoposta a un ‘bisogno’ che parte dal cuore stesso di Dio, per un altro va pure registrato uno squisito tratto di rispetto e attenzione da parte Sua: “ma li rimanderà subito”. Perchè “il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

In questo modo si compie la profezia di Zaccaria: “Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. Ma è decisivo accorgersi che Gesù che viene per compiere la Sua opera nel mondo non viene con i tratti di un re potente e violento, ma mite e arrendevole, proprio come l’asina e il puledro che già sta cavalcando.
L’esperienza della croce nella quale Gesù Si sta ormai cimentando potrebbe persino non essere compresa da coloro che Egli intende salvare. Ma almeno ai Suoi Gesù chiede il pieno affidamento dell’amore, invitandoli ad eseguire, ripetendo, quanto Lui stesso ha compiuto. Non è affatto negato il valore di una comprensione intelligente, ma per i Suoi discepoli l’acquisizione di un significato passa per l’obbedienza propria di chi, solo amando, comprende.
L’immagine è evidente: “condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere”. Infatti, proprio “questo è Gesù, il re dei Giudei” (Mt 27,37). Per un verso, la croce sulla quale Gesù sale non è che l’asina col suo puledro, cioè quella stessa umanità che i Suoi discepoli Gli hanno portato; per un altro, l’aggiunta dei loro mantelli rappresenta tutto ciò che si può possedere nella propria povertà. Perchè un mantello è pur sempre ad un tempo vestito, giaciglio, coperta e persino una casa.

E così, tra questo Re Crocifisso e la folla si instaura una relazione singolare e, si potrebbe anche dire, avvolgente: “la folla che andava innanzi e quella che veniva dietro” , che addirittura grida a piena voce e con forza la sua intuizione più profonda: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. Un canto che tanto assomiglia all’invocazione gridata dei due ciechi di Gerico: “Signore, abbi pietà di noi, Figlio di Davide” (Mt 20,30).

L’eucaristia domenicale è lo spazio reale nel quale ci è dato di continuare ad accogliere Colui che continuamente ci viene a visitare. Con la Sua parola, che diventa per noi pane spezzato e sangue versato per amore.
Proprio così Gesù contina a venire, continua a visitarci, ripetendoci che questo è il Suo e-vangelo.
Dunque: il Signore viene! Maràn athà: vieni Signore Gesù!
Vieni, vieni sempre, vieni ancora in mezzo noi. Buona domenica a tutti.

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