domenica 11 novembre 2007

Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo

Renato Guttuso, Crocifissione (1941, olio su tela, Collezione Guttuso di Velate, Varese)


Luca 23,35-43: [35]Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». [36]Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: [37]«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». [38]C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. [39]Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». [40]Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? [41]Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». [42]E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». [43]Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima (11 novembre 2007), secondo il rito Ambrosiano – con un anticipo di due settimane rispetto al Romano – si celebra la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Così, a conclusione di questo anno liturgico, viene proposta la lettura di Luca 23,35-43. In questo senso la liturgia invita tutti a fare memoria di quanto è stato proposto in senso evangelico nell’arco dell’anno passato: la memoria viva di Gesù morto e risorto. Questo, infatti, i cristiani sono invitati anzitutto a ricordare. Pregando e meditando “senza stancarsi” (Lc 18,1).

Proprio Lui, Crocifisso, “il popolo stava a vedere”. Anche se, stando al contesto, lo ‘spettacolo’ è più ampio. Si dice, infatti, poco prima che, “quando giunsero sul luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: ‘Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno’. Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere” (Lc 23,33-35a).
Questo rapporto tra la gente e il Crocifisso supera – se inteso anzitutto dalla parte di Gesù che pure, a Suo modo, vede la gente – qualsiasi discussione e interpretazione. Ai nostri giorni, ad esempio, si può anche continuare a disquisire sulla collocazione di un crocifisso nelle aule di una scuola o in un tribunale, ma ciò che resta indelebile è proprio il fatto che nessuno potrà mai più interrompere questa singolare relazione. Del resto, proprio Gesù aveva previsto, parlando di questo momento: “io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

E mentre “il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano”. In Matteo addirittura si nota che sono proprio loro quelli che, passando “di là, lo ingiuriavano, scuotendo il capo” (27,39), constatando forse, per propria soddisfazione, il fallimento del messianismo, dell’immagine di Messia, che Gesù aveva voluto proclamare. Lui, che S’era permesso di dire: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” (Gv 2,19), ora sta lì, inchiodato a una croce, apparentemente impotente in attesa di una morte inesorabile.
Proprio questa provocazione dei capi dei Giudei fa soprattutto sintesi di una questione teologica decisiva: “ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Intendendo così porre la questione dell’identità e della realtà stessa di quel Dio che Gesù ha annunciato con grande consapevolezza e coraggio. Se per loro il segno ultimo della verità che Gesù è davvero quel Dio che Lui stesso ha annunciato si dimostrerebbe nella capacità di salvare se stesso, la questione, dalla parte del Dio di Gesù sta invece proprio in questa morte di Suo Figlio. Per amore. Senza alcuna riserva logica, teologica o religiosa. Quanto essi non potranno comprendere di Gesù, che appunto Si è proclamato “figlio di Dio”, è proprio questa Sua esistenza crocifissa, che giunge “fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8).
Su questa Sua morte si scommette ormai il senso ultimo di Dio. La Sua definitiva rivelazione. Infatti: “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Gv 15,13). Dopo questa Sua estrema rivelazione evangelica, qualsiasi teologia – qualsiasi tentativo di dire e comprendere Dio – non potrà più prescindere da questa Sua morte. Questo è il nostro Dio.

Si potrebbe dire, inoltre, che l’intera scena della Crocifissione assume, secondo il testo di Luca, una prospettiva universale. Infatti, tutte le categorie presenti a questo singolare ‘spettacolo’ si sentono in dovere di esprimere un giudizio. Ecco, dunque, che dopo la folla e i capi dei Giudei, è la volta dei pagani, perché “anche i soldati lo schernivano”. Come si trattasse di un poveraccio, incappato suo malgrado negli ingranaggi della giustizia romana, essendoSi ingenuamente proclamato “Re”.
A loro resta lo spazio dello scherno: “e gli si accostavano per porgergli dell’aceto”. Ma, proprio loro, non si rendono conto della portata della loro beffa, finendo per proclamare la vera identità del Crocifisso: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Replicando così, in termini civili, la stessa pretesa teologica che già i capi dei Giudei hanno contestato a Gesù. Anche per loro, del resto, non è paradossale la morte di un uomo. Inaccetabile è la morte di Chi Si è proclamato addirittura “Figlio” del re. Per questo “c’era una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei”, scritta che, stando a Giovanni (19,20), è addirittura in tre lingue: greco, latino e aramaico . La pluralità dei linguaggi denuncia così una comunicazione universale del significato della morte di Gesù.

Accanto a Gesù Crocifisso, con una dimostrazione di condivisione universale che solo un Dio così poteva inventare, stanno però due malfattori. Anzi,“uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi. Ma l’altro lo rimproverava”. Il Crocifisso ha una forza comunicativa così intensa e universale da rapportarSi e insinuarSi persino nelle pieghe più affaticate e oppresse di questa nostra storia. Arrivando proprio là dove qualcuno soffre, dove ancora qualcuno muore.
Meno importa la reazione all’impatto. Anche se in un primo momento potrebbe persino avere il sapore dell’ignoranza e della bestemmia. La mancanza – anche nella nostra cultura – di un serio esercizio al ‘timor Domini’ potrebbe indurre ad accusare Dio stesso d’essere la causa dei mali che ci affliggono o della nostra stessa malvagità. Nessuno, del resto, è esente da questa ‘fuga’ dalla verità di un Crocifisso che ci salva. Persino i Suoi discepoli fuggono davanti alla prospettiva di questo spettacolo insopportabile: “Tutti i discepoli l’abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56). Mentre le parole dell’“altro”malfattore crocifisso con Lui risuonano come un rimprovero al non saper ‘restare’, rimandendoGli accanto: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. O davanti a Lui “ci si copre la faccia” (Isaia 53,3), oppure si ‘resta’. Come Maria, “presso la croce di Gesù” (Gv 19,21).
La libertà del discepolo sta, dunque, nell’esercizio quotidiano di chi decide di prendere posizione, collocandosi da una parte o dall’altra della Sua centralità di Crocifisso per sempre nella nostra umanità. Con Lui ci si può ormai solo confrontare. IgnorarLo, questo sarebbe davvero peccaminoso.

Scegliere la logica di un Dio crocifisso, optando proprio per questa teologia singolare, permette, di conseguenza, la spiritualità della confidenza e dell’abbandono: “E aggiunse: ‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno’”. Sono parole ricolme di un affidamento che descrive lo spazio d’espressione possibile e concreta della stessa fede cristiana. Come la preghiera del pubblicano: “O Dio abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13).
Vale la pena notare che, mentre i capi, i soldati e anche l’altro malfattore, si erano rivolti al Crocifisso chiamandoLo col titolo teologico di “Cristo” (l’unto di Dio), solo quest’ultimo Lo invoca per nome, dicendo: “Gesù”, cioè Salvatore (Dio salva). Come anche Paolo dirà: perché “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. (Fil 2,10-11).
La risposta di Gesù Crocifisso è semplicemente piena della tenerezza di cui solo un Dio così è capace: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Se una fantasia un po’ semplificante, che poco si confronta con la Parola di Dio, ha mai cercato di immaginare cos’è “il paradiso” che ci attende, Gesù ci assicura che più che essere un ‘luogo’ questo è anzitutto l’essere con Lui “oggi”, per sempre.

Sia dunque anche questa domenica, nella quale celebriamo la memoria eucaristrica della Sua morte e risurrezione, il segno della salvezza che oggi, già da oggi, Egli è venuto a donarci ancora. Buona domenica a tutti.

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