mercoledì 25 aprile 2007

IV Domenica di Pasqua - 29 aprile 2007

“Io e il padre siamo uno” (Gv 10,30) – Duccio da Buoninsegna, l’ultima cena (1308-11, Museo dell'Opera del Duomo, Siena)

Giovanni 10,27-30: [27]Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. [28]Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. [29]Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. [30]Io e il Padre siamo una cosa sola.

Cari amici e care amiche,

domenica prossima (IV di Pasqua, 29 aprile 2007) è detta, nella tradizione liturgica: “domenica del Buon Pastore”. Se pure questa immagine non compare nel brano evangelico che sarà letto (Gv 10.27-30), tuttavia è Gesù stesso che dice: “Io sono il buon pastore, il buon pastore dà la sua vita per le pecore” (10,11) e ancora: “Io sono il buon pastore, e conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me” (10,14). Non certo per apparire più accattivante, ma per mettere in evidenza in quale relazione Lui stesso Si trova con le Sue pecore. Perché dà la vita per loro (Gv 10,11) e, conoscendole bene, a loro volta esse Lo conoscono e così Lo seguono (Gv 10,14).
In questo senso, rispondendo alla domanda che ci accompagna in queste domeniche di Pasqua – come Gesù risorto si manifesta ai Suoi discepoli? –, la risposta è più diretta: Gesù desidera soprattutto restare per sempre in relazione con i Suoi discepoli, che profondamente ama.

Ma questa relazione ha una radice precisa, descritta nell’ultimo versetto del brano proposto: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Infatti, non si comprende nulla di Gesù – delle Sue relazioni, di ciò che ha detto e fatto –, se non ci si addentra nella relazione col Padre Suo. Perché Gesù viene dal Padre, essendo stato concepito da Lui come Figlio; avendo trovato nel Padre, lungo tutta la Sua esistenza, un sostegno e un senso; sino a poter ritornare a Lui, dopo la Sua morte, come definitivamente risorto e vivo.
Anche il dibattito sull’importanza della Sua vicenda esistenziale (la cosiddetta questione del ‘Gesù storico’, affrontata nel recente libro di Benedetto XVI, ‘Gesù di Nazaret’, che “considera Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre”, Rizzoli 2007, p. 10), non si comprende che alla luce di questa imprescindibile relazione col Padre. Non una relazione di convergenza reciproca, ma costituita in un rapporto che Li unisce da sempre e per sempre. “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30) è così la ripresa sintetica dell’inizio del Prologo: “nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio” (Gv 1,1).

Anzi, continuando a leggere a ritroso questi versetti, si afferma che il Padre è la ragione stessa della relazione tra Gesù e le Sue pecore: “Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio” (Gv 10,29). Non è tanto Gesù che Si è cercato le pecore, ma queste Gli sono state procurate dal Padre. E’ il Padre “che me le ha date”, e, in quanto “è più grande di tutti”, allora nessuno potrà mai “rapirle dalla mano del Padre mio”.
E non solo la relazione tra Gesù e le Sue pecore è ricondotta nelle mani del Padre, ma la solidità e la tenuta del loro rapporto, dipende ancora da Lui. Lo stesso profondo desiderio di Gesù risorto di stare con i Suoi scaturisce proprio dall’esuberanza d’amore dal cuore del Padre Suo. Sono decisivi, in questo senso, i capitoli 13-17 di Giovanni, dove, ad un tempo, l’intimità tra Gesù e il Padre, fa da sfondo e s’ intreccia con quella tra Gesù e i Suoi discepoli.

Ma poi, in quali termini storici si caratterizza il rapporto con le Sue pecore? Continuando questa lettura a ritroso, si comprende sia ciò che permette a Gesù di stabilire con loro un tale rapporto e quali conseguenze possono derivarne. Perchè “se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui” (Gv 14,23).
Anzi, il motivo esistenziale per il quale Gesù Si relazione ai Suoi lo descrive Gesù in questi termini: “Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Gv 10,28). Infatti, avendo dato la vita – quella stessa “vita eterna” che deriva a Lui dal Padre – per le Sue pecore, esse “non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano”. Così Gesù spiega la vera ragione della Sua morte cruenta: solo per amore dei Suoi. Questo diventa principio di inscindibile unità tra Gesù e loro, tanto che nessuno potrà mai disperderle o rapirle. Così, la ragione teologica della Sua morte risulterà ad un tempo storica e paradossale. Proprio come qualsiasi autentica forma di amore non smentisce, ma semplicemente conferma. Infatti: “nessuno ha amore più grande di quello di dar la sua vita per i suoi amici” (Gv 15,13).

Si comprende pertanto la ‘conclusione’, collocata in questo senso al principio del brano: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). Perché, dunque, noi ascoltiamo proprio la Sua voce? In quanto parte di una relazione che precede ogni desiderio nostro di andare a Lui al fine di restare con Lui. Il fatto, cioè, che, essendo già nelle mani del Padre Suo (Gv 10,29), Lui ci conosce e noi, dunque, Lo riconosciamo a nostra volta.

Cari amici e care amiche, di domenica in domenica, celebrando la Sua Pasqua nell’eucaristia, non facciamo che addentrarci più intimamente nelle pieghe di quello stesso amore che da sempre sussiste tra il Padre e il Suo Figlio Gesù. Lui, che ripresentandoSi nell’eucaristia altro non desidera che continuare a restare con noi. Così come anche noi ci lasciamo educare a non desiderare altro che Lui. Solo Lui. Buona domenica.

don Walter Magni

mercoledì 18 aprile 2007

Terza Domenica di Pasqua - 22 aprile 2007

san Tommaso - Duccio di Buoninsegna, Apparizione di Cristo sul Lago di Tiberiade (Maestà) Museo dell’opera del Duomo, Siena


Giovanni 21,1-19:

[1]Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: [2]si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. [3]Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
[4]Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. [5]Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». [6]Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. [7]Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «E' il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. [8]Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
[9]Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. [10]Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso or ora». [11]Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. [12]Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore. [13]Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. [14]Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.
[15]Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». [16]Gli disse di nuovo: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci le mie pecorelle». [17]Gli disse per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: «Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecorelle. [18]In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi». [19]Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: «Seguimi».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima, 22 aprile 2007, celebreremo la III domenica di Pasqua. Non siamo nelle domeniche ‘dopo’, ma ‘di’ Pasqua. Infatti, con “la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato” (Gv 20,19) è iniziato, anche nel nostro tempo, il Suo giorno, il Giorno del Signore.

Ma Gesù Risorto Si rende presente anche nello spazio del nostro mondo. Anche in questo senso vanno lette le apparizioni dei capp. 20 e 21 di Giovanni: a Maria di Magdala, presso il sepolcro vuoto, fuori città (Gv 20,1-18); ai discepoli (e a Tommaso, “otto giorno dopo”), “in una casa di Gerusalemme (Gv 20,19-29) e, infine - siamo al brano evangelico di domenica prossima - a un gruppo di sette discepoli, presso il lago di Tiberiade, in Galilea (Gv 21,1-19).
Il Risorto non sta oltre la storia, ma S’intreccia nelle nostre vicende: dal pianto di Maria di Magdala (Gv 20,11-15), alle paura dei Suoi, che sbarrano le porte della loro casa (Gv 20,19-26), sino a sostare sulla riva del Lago di Genesaret, di buon mattino, ancora: “si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: ‘Io vado a pescare’. Gli dissero: ‘Veniamo anche noi con te’. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (Gv 21,1-4).
Ma, dopo esserSi reso presente, come Gesù Si spiega a loro? cosa dice propriamente di Sé?

Anzitutto li raggiunge con la parola. Erano andati a pescare, “ma in quella notte non presero nulla” (Gv 21,3). Cosi, prendendo le mosse dai loro stessi fallimenti, chiede da mangiare (Lc 9,13), con qualche consiglio: “Gesù disse loro: ‘Figlioli, non avete nulla da mangiare?’. Gli risposero: ‘No’. Allora disse loro: ‘Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete’. La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci” (Gv 21,5-6).
Se Maria di Magdala, davanti al sepolcro vuoto non si scoraggia, ma subito corre a provocare i discepoli dal loro torpore (Gv 20,2), questi, nell’attesa, si scoraggiano facilmente, e come i discepoli di Emmaus (Lc 24) se n’erano già tornati al loro paese d’origine, per riprendere il lavoro di pescatori di pesci, non certo di uomini (Mt 4,19 e Mc 1,17). Per questo il Risorto riprovoca in loro il Suo riconoscimento: “Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: ‘E' il Signore!’. Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri” (Gv 21,7-8). Non importa l’uniformità della risposta. Conta anzitutto sentirSi riconosciuti ancora. Come Colui che “è il Signore” (Gv 21,7) della loro esistenza.

Ma alla Parola succede l’incontro dello sguardo e della condivisione. Proprio come avviene nel contesto di un pasto dove il Suo riconoscimento diventa oggettivo e trasparente: “Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: ‘Portate un po' del pesce che avete preso or ora’. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: ‘Venite a mangiare’. E nessuno dei discepoli osava domandargli: ‘Chi sei?’, poiché sapevano bene che era il Signore. Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce” (Gv 21,9-12).
Saper riconoscere la Sua voce è importante (Gv 20,16). Ma è nel gesto eucaristico, nel dono totale di Sé, che è possibile riconoscere pienamente Gesù come il Signore Risorto. Oltre ogni segno, perché nell’eucaristia quel pane e quei pesci sono proprio Lui stesso, che Si offre loro come cibo che nutre. Tanto che “i loro occhi furono aperti e lo riconobbero” (Lc 34,31).

Dunque: il Risorto Si manifesta anzitutto nella Parola che chiama da dentro la quotidianità dell’esistenza umana; consapevoli che l’esistenza del credente va continuamente ricompresa facendo memoria del Suo stesso gesto d’amore crocifisso: “Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). Ma il dinamismo profondo del gesto eucaristico stesso confluisce in un amore che chiede una profonda e singolare intimità. Per questo, “quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?’. Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene’. Gli disse: ‘Pasci i miei agnelli’. Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi vuoi bene?’. Gli rispose: ‘Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene’. Gli disse: ‘Pasci le mie pecorelle’. Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni, mi vuoi bene?’. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: ‘Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene’. Gli rispose Gesù: ‘Pasci le mie pecorelle’”. (Gv 21,15-17).
Va certo registrata la raffinatezza dell’intenso dialogo tra Gesù e Simon Pietro, ma soprattutto che Gesù risorto chiede con insistenza d’essere da lui riconosciuto, desiderando d’essere riamato: “Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io riconoscerò lui davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32). RiconoscerLo Risorto non è solo frutto del riconoscimento dell’amore col quale Gesù ci ha amati, ma anche della risposta concreta di Simon Pietro: “In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: ‘Seguimi’” (Gv 21,18-19). L’amore richiede amore. In questo, dunque, sta anzitutto la verità ultima del Suo riconoscimento: “da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

E noi, da buoni discepoli Suoi, continueremo a ritrovarci nel Suo Giorno, per celebrare la Sua eucaristia, facendo sì che diventi sempre più nostra.
L’amore per Lui si diffonda così anche tra tutti i fratelli e le sorelle che avremo la grazia di incontrare sulla nostra strada. Buona domenica.

don Walter Magni

mercoledì 11 aprile 2007

Seconda Domenica di Pasqua - 15 aprile 2007



Gesù risorto e gli apostoli. particolare di una formella della Maestà di Duccio di Buoninsegna (Siena)

Giovanni 20,19-31: [19]La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». [20]Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. [21]Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». [22]Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; [23]a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». [24]Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. [25]Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». [26]Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». [27]Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». [28]Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». [29]Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
[30]Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. [31]Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


Cari amici e care amiche,

con la seconda domenica del Tempo pasquale (15 aprile 2007) ci è data la grazia di comprendere meglio il fatto singolare della risurrezione di Gesù. Un avvenimento che possiamo intendere, nel suo significato più profondo, riferendoci anzitutto alla Parola di Dio che la liturgia della Chiesa – custode attenta della verità di Dio che Gesù ci ha pienamente rivelato – ci propone di volta in volta nella celebrazione eucaristica domenicale.

Tuttavia, riferirsi alla Chiesa e ai suoi insegnamenti a riguardo della risurrezione di Gesù, non significa attenersi soltanto a una sorta di garanzia istituzionale e ufficiale, ma al fatto evangelico stesso col quale Gesù ha voluto proporSi e mostrarSi risorto ai Suoi e a ciascuno di noi. Il primato della Parola di Dio in questo senso non è frutto di una pretesa ecclesiastica, ma del fatto che crediamo che tale parola è ‘di Dio’. Espressa da episodi e parole che scaturiscono così dal Suo cuore. Questo chiarifica anche la nostra domanda: in che modo Gesù risorto, nell’episodio evangelico di domenica prossima (Gv 20,19-31), ha spiegato ai Suoi discepoli il significato della Sua risurrezione? Con quali intendimenti e con quali segni?

Anzitutto, Gesù Si mostra risorto dentro la storia. RideclinandoSi in essa. Donando al tempo e allo spazio un significato nuovo e carico di speranza. Si dice, infatti, all’inizio del brano: “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato” (Gv 20,19); e, poco avanti: “otto giorni dopo” (Gv 20,26). Se “Il primo giorno della settimana, di buon mattino, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro” (Gv 20,1), qui è Gesù che compare ai Suoi, là dove si trovano: “la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato” (Gv 20,19). Ma questo momento vespertino, in senso ebraico, non conclude il giorno della Sua risurrezione. Avvia piuttosto la ‘domenica’ (dies Domini), che segnerà, di settimana in settimana, il primato della Sua vita sulla morte, anche nel nostro tempo.
Ma mentre il tempo già si declina nella luminosità della Risurrezione, lo spazio – era entrato, infatti, nello stesso Cenacolo dove S’era consegnato eucaristicamente – è ancora attraversato da qualche evidente paura da parte dei Suoi: “erano – infatti – chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei” (Gv 20,19).
Gesù risorto avvia così la trasformazione dello spazio e del tempo, lasciando ai Suoi l’impegno di continuare. Se, infatti, Gesù compare ai discepoli nel luogo stesso dell’Ultima Cena, questo fa dell’eucaristia il segno più evidente che il Risorto consegna degli uomini: “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19 e Gv 13,14). Permanente invito a fare dell’ esistenza un dono continuo di sé, senza riserve: “per la vita del mondo” (Gv 6,51).

In questo senso possiamo meglio comprendere anche il significato decisivo dei segni della Sua morte: “Detto questo, mostrò loro le mani e il costato” (Gv 20,20a), tanto che “i discepoli gioirono al vedere il Signore” (Gv 20,20b). Gioia che scaturisce nell’accorgersi appunto che Gesù è proprio Colui che ha oltrepassato la morte che Gli era stata causata proprio da quelle dolorose trafitture del Suo corpo. E anche Tommaso, che non essendo stato con gli altri discepoli il giorno di Pasqua, s’era sentito annunciare che Gesù era vivo, cercherà lui pure testimonianza da questi segni: “‘Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò’” (Gv 20,25).
E’ unanime, dunque, la testimonianza che scaturisce dai segni della Sua morte. Proprio come diciamo nella liturgia: “annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta” (acclamazione dopo la consacrazione eucaristica). Perché la Sua risurrezione diventa tangibile e percepibile anche per noi solo se passa per l’esperienza concreta del dono della propria esistenza, così come ha fatto Gesù. Del resto, la discussione che segue tra il Risorto e Tommaso, va intesa in questa prospettiva: “Poi disse a Tommaso: ‘Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!’” (Gv 20,26-27).
Dunque, per comprendere da credenti la risurrezione di Gesù, è decisivo non tanto toccare col dito di Tommaso la veridicità delle Sue piaghe, ma ripetere – dietro di Lui e come Lui (Lc 9,23) – il singolare gesto d’amore col quale Dio, per primo, Si è donato a noi. Così anche l’esclamazione piena di stupore di Tommaso diventa un atto di fede nel Risorto – “Mio Signore e mio Dio” – mentre resta solo da credere al valore salvifico e supremo dell’affidamento proprio del dono di sé: “Gesù gli disse: ‘Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!’” (Gv 20,28-29). A partire dalla Pasqua, dunque, non si tratta più di constatare semplicemente il Suo corpo martoriato, ma di cominciare ad amare davvero - così come Lui ci ha insegnato – coinvolgendo anche il nostro corpo. Il resto è retorica, sterile e dannosa: “chi non raccoglie con me, disperde” (Lc 11,23).
Questo realismo cristiano ci permetterà di sentire ancora, nell’eucaristia domenicale, la pace e la gioia nello Spirito che, con dolce insistenza, lo stesso Risorto desidera che accogliamo: “Gesù disse loro di nuovo: ‘Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi’. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi’” (Gv 20,21-23).

Buona domenica a tutti.
La Sua pace abiti nei vostri cuori e la Sua gioia risplenda ancora sui vostri volti.

don Walter Magni

martedì 3 aprile 2007

Domenica di Pasqua - 8 aprile 2007

Giotto, Maria Maddalena (particolare del Noli me tangere), Cappella degli Scrovegni (Padova)

Giovanni 20,11-18: [11]Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro [12]e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. [13]Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». [14]Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. [15]Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». [16]Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! [17]Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». [18]Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Cari amici e care amiche,

alcune donne, che portano il nome di Maria, accompagnano l’intera esperienza pasquale di Gesù: Maria di Betania che, essendo ‘stata’ ai piedi di Gesù per ascoltarLo (Lc 10,39), proprio “sei giorni prima della Pasqua” torna, con profondo affetto, per lavarGli i piedi (Gv 12,1-11); poi c’è Maria, Sua madre, che con altre donne ‘sta’ dignitosasamente presso la Sua croce (Gv 19,25); e infine – riferendoci all’episodio evangelico che sarà proclamato domenica, Solennità della Pasqua di Gesù (8 aprile 2007) – Maria di Magdala, alla ricerca sofferta di Gesù, “stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva” (Gv 20,11).
La singolare capacità di queste donne d’essere esplicitamente attente alla Sua vicenda pasquale, disegna già tutto lo spessore storico esistenziale della Pasqua cristiana. Gesù risorto è espressione di una divina umanità che, concepita in Maria Sua madre, è stata poi accolta dall’intenso affetto di Maria di Betania e dall’attesa appassionata di Maria di Magdala. Nel cuore di una madre, come in quello di un’amica o di un’amante, sta sempre un solo desiderio: che Gesù – il Figlio, l’Amico o l’Amato, – possa vivere ancora, nonostante sia passato per lo zoccolo duro della morte. Non solo riviverLo nei loro pensieri. Ma proprio come Colui che, solo, sa dare pieno compimento alle attese del cuore di una donna.

Questo tuttavia non basta alla nostra fede. Il mistero singolare della Sua Pasqua di risurrezione attiene propriamente a un desiderio che anticipa ogni nostra attesa e speranza. Perché il nostro bisogno di Lui si radica nel Suo stesso desiderio d’esserci accanto. Nella vicenda di Maria di Magdala, che giunge a incontrare l’Amato dopo averLo a lungo cercato –‘‘avete visto l’amato del mio cuore?’” (Ct 3,3) – si racchiude anche il mistero della nostra attesa di Lui. Ma poi è anzitutto Lui, che pur di farSi trovare, ama essere cercato. Per diventare così l’Amante amato del nostro cuore, inquieto e fragile ad un tempo.

Anzitutto, dunque, c’è il pianto di Maria. Quasi in contrasto con la gioia della Pasqua: “Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva” (Gv 20,11). Proprio questo è forse il segno più forte ed eloquente di un’amante per l’Amato. Tanto che subito il Suo sepolcro vuoto ne preannunzia già la presenza: “mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: ‘Donna, perché piangi?’. Rispose loro: ‘Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto’” (Gv 20,11-13).
Il pianto di Maria di Magdala è simile a quello di una donna che “quando partorisce, prova dolore, perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'angoscia per la gioia che sia venuta al mondo una creatura umana” (Gv 16,21).

E dal pianto di Maria di Magdala prende le mosse anche il Risorto. Tanto che subito le dirà: “Donna, perché piangi? Chi cerchi?” (Gv 20,14). Perché l’Amato raggiunge l’amante proprio là dove ‘sta’. Là dove noi pure ci troviamo. Non accettando cioè che il suo pianto si protragga oltre un’umana sopportazione. Così il dinamismo stesso dell’incontro - non solo del nostro ‘stare’ presso di Lui, accanto o accovacciati in Lui – qui pienamente si svela. Lui – che del resto non ci aveva mai lasciati, anche nel tempo silenzioso della morte – ora attende d’essere riconosciuto. Tanto che lei, “detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: ‘Donna, perché piangi? Chi cerchi?’. Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: ‘Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo’” (Gv 20,14-15).

Così questa danza dell’amore vero raggiunge il suo vertice: “Gesù le disse: ‘Mariam!’. Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: ‘Rabbunì!’, che significa: Maestro!” (Gv 20,16). Se Gesù chiama ‘Mariam’, lei, semplicemente, riconosce la voce del suo Maestro.
Se d’istinto subito L’abbraccerebbe, s’apre però ormai, con l’urgenza propria dell’amore, il tempo – per la Chiesa – per annunciare che Lui è vivo, vivo per sempre: “Gesù le disse: ‘Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro’. Mariam di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: ‘Ho visto il Signore’ e anche ciò che le aveva detto’” (Gv 20,17-18).

In attesa, dunque, del Suo giorno: buona Pasqua di resurrezione.
Possiate ancora riascoltare la Sua voce e, sempre, gustare della Sua presenza.
don Walter Magni