venerdì 13 luglio 2007

XV Domenica del Tempo Ordinario - 15 luglio 2007

Vincent van Gogh, Il buon samaritano (Saint-Rémy, 1890; Otterlo, Museo Kroeller-Muller).


Icona del Buon Samaritano (Chiesa di S. Egidio, Roma).


Luca 10,25-37: [25]Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». [26]Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». [27]Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». [28]E Gesù: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai». [29]Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». [30]Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. [31]Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. [32]Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. [33]Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. [34]Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. [35]Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. [36]Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». [37]Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima (XVa del Tempo ordinario, 15 luglio 2007) durante la celebrazione eucaristica sarà letta la parabola del Buon Samaritano (Lc 10,25-37), introdotta dalle domande di un Dottore della Legge che “si alzò per metterlo alla prova”. Se nel deserto Gesù fu tentato di seguire vie alternative alla volontà del Padre, qui qualcuno intende verificare la qualità della Sua adesione alla Legge di Mosè, con una domanda molto diretta: “che devo fare per ereditare la vita eterna?”.

L’osservanza della Legge era vitale per qualsiasi ebreo, ma ora Gesù – venuto al mondo per dare compimento alla Legge dando la Sua vita – intende proposrSi come via che conduce alla “vita eterna”. Così, da uno stato di vita senza limiti di spazio e di tempo, “la vita eterna” diventa la relazione permanente e definitiva che un discepolo accetta di stabilire con Lui. SeguendoLo nella Sua morte e risurrezione. Per questo “gli disse: ‘Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?’”. Non basta disquisire con competenza della Legge. Importa che ciò che in essa è scritto, per essere ascoltato, sia letto e poi memorizzato. Tutte queste azioni dicono già che tipo di ascolto propriamente domanda l’Evangelo di Gesù: “Schemà Israèl (Ascolta, Israele)” (Dt 6,4s),

Puntando così all’essenziale “costui rispose: ‘Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso’”. Si tratta, dunque di un amore richiesto: “amerai”! Per affermare ormai che l’azione che definisce l’uomo è propriamente l’amore. Tanto che Gesù approva la risposta: “Hai risposo bene: fa’ questo è vivrai”. Così, amare Dio - e chi ci sta accanto (il prossimo) - con la stessa intensità che si ha per sè stessi (“come te stesso”), poteva bastare ad un ebreo osservante, per vivere secondo la Legge.
Ma, grazie all’inquietudine di un uomo di Legge, abbiamo la grazia di riascoltare direttamente da Gesù in cosa consiste la più grande rivoluzione che l’amore ha mai conosciuto. Infatti quello, “volendo giustificarsi, disse a Gesù: ‘E chi è il mio prossimo?’”. Meglio: “chi è a me più vicino?”.

Se l’amore secondo la Legge si misura comunque a partire da sé (“come te stesso”), amare il prossimo come ci ha insegnato Gesù, comporta assumere le misure proprie dell’amore di un Dio – il nostro! - che è semplicemente amore (“Dio è amore”, 1Gv 4,8). FacendoSi uomo in Gesù, Dio ci ha così dimostrato che è possibile amare il nostro prossimo “con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente“. Il Buon Samaritano è così l’immagine parabolica estrema dell’evoluzione possibile dell’amore umano. Dall’amore ‘per Dio’, che proprio la Legge mosaica ha inteso insegnare, all’amore stesso di Dio ‘per ogni uomo’, cioè per il Suo prossimo. Amore che propriamente il Figlio di Dio ha inteso pienamente portare a compimento. Dalla reciprocità dell’amore, ci è chiesto, standoGli dietro come discepoli Suoi, di inoltrarci con coraggio per le strade di un amore gratuito e senza confini. Sino al dono totale di sé.

Dunque: “un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico”. Rifacendo lo stesso percorso di Adamo, che avendo peccato, s’era nascosto dallo sguardo di Dio (“Adamo dove sei?”, Gn 3,9). Tanto l’uomo tende ad allentarsi da Gerusalemme, quanto il Figlio dell’uomo fa il cammino inverso, per poterlo incontrare, proprio sulla strada che da Gerico sale alla Città Santa. Ma in questa discesa l’uomo s’imbatte nel nemico, il diavolo “Omicida dal principio” (Gv 8,44): “incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto”.
Per quella stessa strada scende anzitutto un custode della Legge: “Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte”. La Legge, che questi custodisce gelosamente, può solo prendere atto del peccato dell’uomo, senza suggerire alcun rimedio efficace. La legge sa denunciare il male, senza saperlo tuttavia annientare. Pertanto quel sacerdote “passò oltre dall’altra parte” della strada.
Pure l’addetto al culto non farà meglio: “un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre”.

Invece, “un Samaritano che era in viaggio” si inserisce con tutta una serie di sentimenti e di azioni affettuose in grado di trascrivere in termini decisamente nuovi i tratti dell’amore che Gesù è venuto a portare nel mondo. Intanto: “passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione”. La stessa compassione che Gesù aveva provato incontrando una povera vedova, piangente dietro il feretro del figlio (Lc 7,13); o alla tomba di Lazzaro, scoppiando in pianto (Gv 11,35); che pure descrive il cuore del padre misericordioso che attendeva il ritorno del figlio minore (Lc 15,20).
La teoria delle azioni che seguono, solo un Dio così amante le poteva inventare. Disponibili ad ogni uomo. Persino ad un samaritano: “gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui”. Una sequenza di gesti che sembrano non finire: “Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: abbi cura e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”.

Così, giunti al termine del racconto, Gesù si ricollega alla stessa domanda che il dottore della Legge Gli aveva fatto: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?”. Non tanto: “chi è prossimo a me?” a questo punto, piuttosto: come e chi ci si fa prossimo? Come si esercita la prossimità? “Quegli rispose: ‘Chi ha avuto compassione di lui’. Gesù gli disse: ‘Va' e anche tu fa’ lo stesso’”.
La compassione di Dio, che scaturisce anzitutto dal Suo cuore è pertanto la ‘rivoluzione copernicana’ operata da Gesù a riguardo dell’amore. Amore non espresso rigidamente nei confronti di Dio – ripetendo azioni moralmente corrette e appagati dall’orizzonte di un culto formalmente curato ed esteticamente ineccepibile -, ma attraversato da una misericordia continuamente tesa al dono di sé. Capace di farsi uno con l’altro. sino alla fine e senza confine: “Se uno dice: «’Io amo Dio’, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1 Gv 4,20)

E’ questo l’esercizio cristiano per eccellenza, che propriamente, come frutto maturo, dalla partecipazione eucaristica domenicale. Stare davanti alla relazione d’amore tra Gesù e il Padre Suo, per saper declinare poi continuamente, nei confronti di sé e di ogni uomo, l’amore misericordioso di Dio. Come dovessimo imparare, di domenica in domenica, a domandarci: “chi è il mio prossimo?”, e, ancora più concretamente: nei confronti di chi oggi, guardando sempre a Gesù, mi è chiesto di ‘essere prossimo’ con le stesse “viscere di misericordia”?

Buona domenica e buona estate.
Che la Sua Parola vi accompagni ancora. Che il Suo sguardo vi custodisca ancora e sempre.

domenica 8 luglio 2007

XIV Domenica del Tempo Ordinario - 8 luglio 2007

I discepoli della Pentecoste (particolare) mosaico realizzato dal Centro Aletti
(Chiesa di S. Chiara al Collegio Francese di Roma, 2004)


Luca 10,1-12.17-20: [1]Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. [2]Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. [3]Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; [4]non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. [5]In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. [6]Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. [7]Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. [8]Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, [9]curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. [10]Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: [11]Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. [12]Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città. [13]Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. [14]Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi. [15]E tu, Cafarnao, sarai innalzata fino al cielo? Fino agli inferi sarai precipitata! [16]Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato». [17]I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». [18]Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. [19]Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. [20]Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Cari amici e care amiche,

a quali fatti allude l’inizio del brano evangelico (Lc 10,1-12.17-20), proposto dalla liturgia domenica prossima (XIVa del Tempo Ordinario, 8 luglio 2007)? Gesù S’era incamminato verso Gerusalemme (“decisamente”, Lc 9,51) e alcuni, col desiderio esplicito di seguirLo (9,57-62), L’avevano avvicinato. Pertanto, “dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli”. Così, ai Dodci e ai primi discepoli, molti altri s’aggregano.

Se i Dodici testimoniano un’immagine iniziale della prima comunità cristiana, questi Settantadue discepoli dilatano le sue dimensioni nel tempo e nello spazio. Inviati in coppia a motivo di un aiuto reciproco, rendono comunque più solida la loro testimonianza al Vangelo di Gesù: “li inviò a due a due avanti a sé (davanti al suo volto)”. Viene così citato il momento nel quale Gesù “indurì il suo volto per andare a Gerusalemme” (9,51). Con l’impegno preciso ad entrare “in ogni città o luogo dove stava per recarsi”. Se la “città” permette l’incontro e la relazione, in un “luogo” gli uomini abitano. Proprio lì Gesù vuole arrivare con la Sua parola di salvezza.

Per loro redige alcuni consigli: “diceva loro”. Indicazioni impartite in occasioni diverse, ma raccolte poi in una sorta di ‘manuale del discepolo’. Con una premessa: “la messe è molta, ma gli operai sono pochi”. E’ decisivo, infatti, evangelizzare avendo il senso delle proporzioni tra l’abbondanza quantitativa della “messe” e Colui che la governa (“Padrone”). Tanto che la prima collaborazione richiesta non sta nel ‘fare’, ma nell’’invocare’. Discepolo non è anzitutto colui che fa qualcosa in rapporto alla messe, ma che costantemente sa guardare a Colui che proprio così l’ha creata e amata: “Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe”. Solo dopo si può partire per la missione: “Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. Dopo essersi abbandonati al “padrone della messe” come Gesù che continuamente si è abbandonato alla volontà del Padre Suo, in occasione dell’annuncio avviene che i discepoli vengano identificati col loro maestro, l’“agnello di Dio”, che si consuma a Pasqua. Il lupo, sempre affamato di pecore e agnelli, resterà sempre in agguato nel tempo della Chiesa dei Suoi discepoli . Solo alla fine dei tempi, agnello e lupo pascoleranno insieme (Is 11,6).

Si passa quindi ad alcune indicazioni più pratiche. Anzitutto c’è una richiesta che, in ragione della sua essenzialità e sobrietà, ben evidenzia Colui che si sta annunciando: “non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada”. Per questo Gesù dirà a Marta, ma guardando a Maria, che “una cosa sola è necessaria” (Lc 10,41); come anche al giovane ricco: “una cosa sola ti manca! Va’, vendi tutto ciò che hai” (Mc 10,21). Per amore Suo va infatti “gettato” (Mc 10,50) persino il mantello che raccoglie e trattiene le ultime sicurezze.
Poi bisogna entrare nelle case e nelle città. Anzitutto nella casa, dove ci si nutre e si ama: “in qualunque casa entriate, prima dite: ‘pace a questa casa’. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”. Proprio come dirà ai Suoi il Risorto, nell’intimità del Cenacolo: “Pace a voi” (Gv 20,19). Sapendo che, da ospiti, in una casa è bene stare alle abitudini del luogo: “restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l’operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa”. Già si intuisce l’importanza propria del ‘luogo’ nel quale i credenti poi si raduneranno per fare memoria di Lui.

Ma Gesù non può disattendere un legame singolare con la città. Egli stesso, infatti, “se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del Regno di Dio” (Lc 8,1). Ritorna così il desiderio d’essere accolti e ascoltati, parlando di Lui: “Quando entrerete n una città e vi accoglieranno”. Il Vangelo, infatti, chiede un ascolto incondizionato, così che si possa procedere senza misura, secondo la sovrabbondanza del cuore che semplicemente ama: “mangiate quello che vi sarà messo innanzi. Curate i malati che vi si trovano, e dite loro: ‘si avvicina il Regno di Dio’”.
La possibilità del rifiuto tuttavia rimane sempre: “Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”. E dove il rifiuto è ottuso e senza appello, anche Gesù non ammette tentennamenti e ambiguità (Lc 10,12-15).

Il ritorno dalla missione è allegro e festoso: “i settantadue tornarono pieni di gioia”. Proprio come recita un detto di Gesù: “vi è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35). Perché “anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Nel Suo nome, infatti, si vince e si ottiene comunque (Gv 14,14). Una gioia che Gesù aveva prevista: “Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare”; e da collegare ad una ricompensa precisa: “Non rallegratevi perché i demoni si sottomettono a voi, rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
Se “i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”, cioè nel nome di Colui “che viene dal cielo” (Gv 6,32), ora i nomi dei Suoi non sono solo scritti nel libro della vita della storia degli uomini, ma “nei cieli”, cioè nel cuore stesso del Padre Suo. Infatti, la vita di chi si realizza annunciandoLo, è già “nascosta con Cristo in Dio” (Col 3,3).

L’annuncio del Signore Gesù che deriva dalla celebrazione dell’eucaristia domenicale è già carico della promessa della di una comunione piena e definitiva con Lui.
A tutti voi l’augurio di una buona domenica nel Suo nome.