Cari amici e care amiche,
l’episodio dell’incontro di Gesù con la Samaritana, che sarà proclamato domenica prossima - II domenica della Quaresima ambrosiana (4 marzo 2007) -, è noto. Sarebbe già interessante comprendere la singolare relazione che Gesù ha con i samaritani. Di loro i vangeli non registrano mai un nome proprio. Sono sempre detti genericamente ‘samaritani’, come fossero uno specchio, nel quale poterci riconoscere anche noi. Tanto che, quando Gesù decide di parlare delle diverse espressioni dell’amore, spuntano sempre dei samaritani. Se vuole alludere ad un amore capace di solidarietà autentica, racconta la parabola del buon samaritano (Lc 10,29-37); o, se intende dipingere il senso della gratuità dell’amore, allora guarisce dieci lebbrosi (Lc 17,11-19), uno dei quali – il solo capace di ritornare a ringraziarlo – era un samaritano. E se propone un itinerario percorribile alla fede, Gesù Si lascia raggiungere – avendola raggiunta Lui per primo – da una donna samaritana.
Dunque: “Gesù giunse ad una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe” (4,5-6), evidenziando che l’iniziativa è Sua, anche per l’immediatezza con la quale manifesta una Sua esigenza: “stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samarìa ad attingere acqua. Le disse Gesù: ‘Dammi da bere’” (4,6-7).
Gesù stabilisce subito con la Samaritana una relazione concreta e diretta. Superando pregiudizi etnici e religiosi fortissimi – “I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani” (4,9) –, ma anche una presunzione d’etica professionale. Un rabbi non avrebbe mai dovuto parlare in pubblico ad una donna, per giunta scomunicata perché samaritana. Così Gesù e questa donna cominciano ad avere un punto in comune, inequivocabile: una normale sete d’acqua che poteva essere soddisfatta attingendo al pozzo di Giacobbe.
Pur di farci sentire la Sua sete d’amore (“Ho sete”, Gv 19,28), Gesù Si lascia abitare dai bisogni più elementari (“Dammi da bere” Gv 4,7). Siamo in presenza della straordinaria bellezza dell’inserzione della Sua stessa carne nella nostra (Gv 1,14). Si spiega così il confronto che segue, tra l’acqua del pozzo di Giacobbe, che placa soltanto l’arsura del corpo e l’acqua viva che sgorga da una fonte inesauribile: “‘Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘Dammi da bere!’, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva’. Gli disse la donna: ‘Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?’” (4,10-12). E la Samaritana sta per accorgersi che proprio Gesù è la vera fonte d’acqua viva: “Se qualcuno ha sete, venga a me e beva” (Gv 7,37)
Ma Gesù mette in atto una seconda strategia per raggiungere il cuore di questa donna, volendola stringere profondamente a Sé, come solo Dio sa fare: l’uso della provocazione. MettendoSi cioè a scavare, entrando negli anfratti di un cuore già ferito e provato. Egli va al cuore delle cose, attraversando le questioni di cuore. Infatti “Le disse: ‘Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui’. Rispose la donna: ‘Non ho marito’. Le disse Gesù: ‘Hai detto bene ‘non ho marito’; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero’” (4,16-18).
Le stanchezze affettive – anche le più complesse e confuse – diventano spazio reale per restare con Lui, dando così riposo ad un cuore inquieto. Come direbbe Agostino: “Ci hai fatti per te Signore, e il nostro cuore è inquieto fino a quando non riposa in te” (Confessioni, 1).
Per accedere alla “verità tutta intera” (Gv 16,13), Dio chiede di non temere le nostre – e altrui – fragilità (“in questo hai detto il vero”), perché il cammino della fede non prescinde dalle concrete e complesse esperienze dell’esistenza umana. Piuttosto l’attraversa e l’innalza.
Infine, se della Samaritana non sappiamo il nome, tuttavia è lei, che lungo il racconto, si rivolge a Gesù con una serie di nomi che gradualmente Lo definiscono. Quasi un sottile gioco d’amore, dove per un verso Gesù si lascia interpretare da lei e, per un altro, è il cuore stesso della Samaritana che ormai desidera comprenderLo nel Suo stesso mistero. Dapprima Lo chiama “Giudeo” (4,8), con tono sprezzante e staccato; poi Lo qualifica come “Signore” (4,11.15), e, poco più avanti, come “un profeta” (4,19). Sino a poterLo riconoscere, indirettamente, come “Messia”: “Gli rispose la donna: ‘So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa’. Le disse Gesù: ‘Sono io, che ti parlo’” (4,25-26).
Quest’ultimo passaggio merita una precisazione. Se la Samaritana introduce il termine che identifica pienamente Gesù, solo Lui può autoproclamarSi veramente ‘Messia’. La fede, infatti, è dono che scaturisce anzitutto dal cuore di Dio. Cadono così anche tutte le possibili barriere religiose costruite dalla rigidezza e dai fondamentalismi degli uomini. Se è vero che “la salvezza viene dai giudei” (4,22), tuttavia “è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità” (4,23-24). Gesù, dunque, è il ‘Messia’ non perché aggiunge un’espressione religiosa nuova a quella giudaica o samaritana preesistenti, ma in quanto da compimento – “in spirito e verità” – a qualsiasi sete religiosa degli uomini.
Proprio a questa soglia giunge la sete di senso della Samaritana. Sete che non dovranno mai più mancare in una autentica definizione della fede cristiana, così come Gesù ce l’ha trasmessa.
L’incontro domenicale con la parola di Dio e col corpo e sangue del Signore, dia senso a ogni nostra attesa e soddisfi pienamente la sete profonda che tutti abbiamo di Lui.
Buona domenica.
don Walter Magni (donwalter@unibocconi.it)
1 commento:
Cari amici il brano di questa domenica è un gioiello di comunicazione, Gesù è veramente padrone della PAROLA cosi capace di raggiungere il nostro cuore, regalandoci soltanto autenticità e verità.
Conosce il mio e il vostro cuore, sa cosa ci manca e quali questioni sentiamo più importanti, sente la nostra ansia e la nostra poca fiducia in Dio, per questo ci viene incontro adeguandosi ai nostri passi, mettendosi sulla nostra strada per inserirci nella sua VERITà!
Attingendo dalla Sua fonte, Lui stesso morto e risorto, possiamo riempire la nostra vita di un senso e di un amore che travalica ogni pensiero e parola!
Innestati nella sua acqua costruiamo il nostro futuro ed in particolar modo, un progetto di famiglia, un uomo ed una donna che attirati da Gesù formano un solido rapporto d'amore capace di contagiare altre persone.
Un saluto di cuore Alberto (ristorante canto sesto)
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