mercoledì 21 marzo 2007
Quarta Domenica di Quaresima - Rito Ambrosiano, 18 marzo 2007
Giovanni 9,1-41: [1]Passando vide un uomo cieco dalla nascita [2]e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». [3]Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. [4]Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. [5]Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». [6]Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco [7]e gli disse: «Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. [8]Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». [9]Alcuni dicevano: «E' lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». [10]Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». [11]Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». [12]Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so».
[13]Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: [14]era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. [15]Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». [16]Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro. [17]Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E' un profeta!». [18]Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. [19]E li interrogarono: «E' questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». [20]I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; [21]come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso». [22]Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. [23]Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!».
[24]Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da' gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». [25]Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». [26]Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». [27]Rispose loro: «Ve l'ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». [28]Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! [29]Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». [30]Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. [31]Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. [32]Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. [33]Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». [34]Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori.
[35]Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?». [36]Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». [37]Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui». [38]Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. [39]Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». [40]Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». [41]Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».
Cari amici e care amiche,
continua, col brano evangelico (Gv 9,1-41) che sarà proclamato durante la celebrazione eucaristica di domenica prossima - 18 marzo 2007, quarta della Quaresima ambrosiana –, la grazia di assistere ancora una volta ad un singolare itinerario di fede. Quello percorso dal ‘cieco nato’. Dopo l’intenso dialogo fatto attorno al pozzo di Giacobbe tra Gesù e la Samaritana e quello persino drammatico tra Gesù e un gruppo di Giudei irriducibili, a causa del loro rigido attaccamento alla tradizione dei figli di Abramo.
La prima indicazione ci viene dalla struttura di questo ampio racconto. L’itinerario alla fede in Gesù, del non vedente che torna a vedere, va letto propriamente come disteso su due fronti: quello dell’incontro personale e diretto con Gesù da parte di quest’uomo e quello di tutti coloro che si mettono a discutere a riguardo dell’incontro di Gesù con quest’uomo. Altro, infatti, è l’itinerario di chi giunge a credere in Gesù e altro è disquisire a riguardo della fede in Gesù. Mentre colui che era cieco giunge a vedere Gesù – anzi: ad adorarLo –tutti coloro che, con le loro disquisizioni, pretendono di sapere qualcosa di Lui senza averLo incontrato, finiscono per essere o, addirittura, per diventare ciechi: “Gesù allora disse: ‘Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi’. Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: ‘Siamo forse ciechi anche noi?’. Gesù rispose loro: ‘Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane’” (Gv 9,39-41).
La domanda a questo punto è molto chiara, dal nostro punto di vista: come si fa a ‘vedere Gesù’, cioè a credere in Lui, superando, la nostra strutturale cecità? la nostra corta visuale? Magari anche i nostri limiti o i nostri stessi peccati? Infatti: non basta il desiderio di vedere Gesù. La volontà di vederLo da parte nostra può essere mossa da ragioni anche molto diverse, persino divergenti e opposte. Altro è Zaccheo che sale su un sicomoro (Lc 19,1s) e altro è Erode che Lo vorrebbe vedere per ucciderLo (Mt 2,8s; Lc 23,8).
Anzi, la risposta che ci viene da questo episodio è fondamentale: prima del nostro desiderio di vedere Gesù è Lui che ci vede per primo: “Passando vide un uomo cieco dalla nascita” (Gv 9,1). E, anche al termine dell’episodio, è sempre Gesù che, dopo averlo incontrato, cioè vedendolo, lo interpella ancora: “Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: ‘Tu credi nel Figlio dell'uomo?’. Egli rispose: ‘E chi è, Signore, perché io creda in lui?’. Gli disse Gesù: ‘Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui’. Ed egli disse: ‘Io credo, Signore!’. E gli si prostrò innanzi (Gv 9,35-38). In questo senso la fede, cioè la possibilità di incontrarLo davvero come significato ultimo della nostra esistenza, è un dono tutto Suo. E’ un dono dall’alto, che va anzitutto accolto, fidandoci di Lui e lasciandoLo fare.
Certo, anche noi vogliamo vedere qualcosa. Magari anche qualcosa che Lo riguarda. Ma non è detto che vogliamo vedere proprio Lui. Per stare con Lui, per adorarLo appunto. Solo Lui ci immette nella condizione di poterLo vedere, compiendo su di noi un segno: “Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: ‘Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)’. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva” (Gv 9,6-7). Per poterLo vedere dobbiamo lasciarLo fare. E’ sempre Lui che conduce, attirandoci a Sé, nell’abbraccio dell’adorazione.
Ma è decisivo accorgersi anche dei diversi livelli della discussione, che scatena quest’uomo che, da cieco - in quanto non vedeva Gesù e neppure ci risulta che sapesse qualcosa di Lui -, arriva però a vederLo, adorandoLo come Signore della sua vita (Gv 9,35-38).
C’è anzitutto l’interpretazione parziale che ne danno i discepoli di Gesù, che vorrebbero spiegare la condizione malata di quest’uomo rifacendosi allo schema moralistico del rapporto colpa (peccato) e male (malattia): “i suoi discepoli lo interrogarono: ‘Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?’” (Gv 9,2). Ma Gesù allarga la loro intelligenza, inserendo l’esperienza del male e della sofferenza nell’orizzonte stesso del mistero di Dio. Si potrebbe persino dire – rifacendoci così anche all’esperienza di Giobbe – che se la nostra esperienza del male non è voluta direttamente da Dio, tuttavia Dio non le è affatto estraneo, in ragione proprio del raggiungimento del Suo stesso fine d’amore: “Rispose Gesù: ‘Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio’” (Gv 9,3).
Poi ci sono i vicini. Quelli che lo vedevano mendicare tutti i giorni ai margini della strada, che neppure sembrano riconoscere la verità, pur evidente, del suo cambiamento: “Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: ‘Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?’. Alcuni dicevano: ‘E' lui’; altri dicevano: ‘No, ma gli assomiglia’. Ed egli diceva: ‘Sono io!’. Allora gli chiesero: ‘Come dunque ti furono aperti gli occhi?’. Egli rispose: ‘Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista’. Gli dissero: ‘Dov'è questo tale?’. Rispose: ‘Non lo so’” (Gv 9,8-12).
Andrebbero, inoltre, citati anche i suoi genitori che, pilatescamente, cioè per paura, se ne lavano le mani: “Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso” (Gv 9,20-21). Ma, soprattutto, andrebbe preso in considerazione l’atteggiamento volutamente ostile dei farisei. Ritenuti, comunemente da tutti, dei buoni avvistatori. Degli intellettuali dalla vista lunga. Ma proprio con loro il livello dell’ironia evangelica va al massimo, fino alla beffa, stando alle parole stesse di Gesù (Gv 9,39-41).
L’osservazione conclusiva è quasi ovvia. Per quanto tutti ritengano vedere quest’uomo, o qualcosa di quest’uomo che da cieco torna a vedere, tuttavia è come se nessuno s’accorgesse davvero della questione decisiva: entrare profondamente nella sua stessa esperienza visiva. Cioè rischiare di vedere ciò che Lui stesso ha cominciato a vedere aprendo i suoi occhi alla luce. A Colui che è la luce: “Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,5).
Del resto, se vogliamo essere schietti, l’esperienza eucaristica domenicale che ci è dato di fare, implica proprio la possibilità di questo passaggio decisivo: dal semplice vedere qualcosa che attiene a Gesù, o anche dall’intuire qualcosa che Lo riguarda – le Sue parole, i Suoi miracoli, persino il Suo più grande gesto d’amore eucaristico –, all’entrare più decisamente in rapporto con Gesù.
Se è pur bello ammirare chi si converte a Lui, entusiasmarsi dei santi, degli uomini e delle donne di Dio, più urgente e decisivo è, e rimane, il fatto che noi ci lasciamo raggiungere da Lui, avviando con Lui un colloquio così intimo e profondo, che altro non ci resta da fare che prostrarci. AdorandoLo come Signore nostro. Senso e pienezza della nostra vita.
Buona domenica a tutti.
don Walter Magni
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