domenica 30 dicembre 2007

Domenica tra l’Ottava di Natale

Renato Guttuso, Fuga in Egitto (1983, acrilico su carta intelata)


Matteo 2,13-23: [13]Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo». [14]Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, [15]dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio”. ([16]Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. [17]Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “[18]Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più”.) [19]Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto [20]e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». [21]Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. [22]Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea [23]e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».


Cari amici e care amiche,

Con domenica prossima ci troviamo ancora nell’Ottava di Natale (Domenica tra l’Ottava di Natale, 30 dicembre 2007). Il Vangelo ci riporta ad un episodio famoso e che molto ha colpito la nostra fantasia: la fuga di Gesù in Egitto e la conseguente strage degli innocenti (Matteo 2,13-23).
Quando Matteo decide di scrivere il 'suo' Vangelo, intuisce che sarebbe stato impossibile evidenziare l’identità divina di Gesù di Nazaret, senza cercare di descriverNe le radici ebraiche. In questo modo Gesù riassume, sin dall’infanzia, l'intera storia del popolo nel quale è stato generato. In modo particolare, attraverso l’esperienza della fuga in Egitto, è come se Gesù venisse messo nella condizione di rivive quella dura esperienza d'esilio che già aveva sperimentato il Suo popolo, compiendo pure Lui quanto era già stato scritto dagli antichi profeti.
Per questo Matteo è preoccupato di documentare attentamente i primi episodi dell'infanzia di Gesù, con una serie di citazioni profetiche, affermando così che l’episodio al quale stiamo assistendo, avviene "perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 'Dall'Egitto ho chiamato mio figlio'". Anzi, al termine del brano, si noterà che, stando proprio alle indicazioni degli 'antichi profeti', Gesù "sarà chiamato Nazareno". Quella storia di amore e di liberazione che Dio aveva iniziato, legandosi proprio al popolo ebraico, trova così compimento in Gesù, che a causa di un pericoloso despota sarà costretto ad abitare a Nazaret.

Sorgono tuttavia alcune domande: liberazione da che cosa? E perché liberi proprio attraverso Gesù di Nazaret? In che senso Gesù ci libera, ci salva, così come il popolo di Israele è stato liberato e salvato? Una delle questioni più serie dal punto di vista religioso del cristianesimo occidentale odierno è questa: da cosa ci deve e ci può liberare propriamente Gesù di Nazaret? Per quale ragione dar credito alla liberazione, all'opera di liberazione e di amore di Gesù di Nazaret nella mia vita? Cosa mi ritorna dall'averLo incontrato? Perché non riferirsi anche ad altri progetti di liberazione più accattivanti?
La questione non sta solo nell'accogliere o no un religioso della tradizione occidentale cristiana alla quale apparteniamo. E' stato già detto che giustamente "non possiamo non dirci cristiani" per certi aspetti (B. Croce). Oggi è più urgente cercare di riformulare le ragioni della speranza che i credenti in Occidente dicono – stando almeno a certe loro parole - di avere in Gesù di Nazaret. Senza questa operazione di riformulazione della speranza cristiana che ci deriva da Lui, confineremmo Gesù a stare in alcuni buoni sentimenti; in affermazioni sempre più deboli e persino semplicistiche.

C'è una espressione che ritorna ben quattro volte nel brano evangelico. Anzitutto l'angelo del Signore, apparendo in sogno a Giuseppe dice: "Alzati, prendi con te il bambino e sua madre…", inviandolo prima in Egitto e in seguito facendolo ritornare nel 'paese di Israele'. E' la volta poi di Giuseppe che "Destatosi prese con sé il bambino e sua madre" per fuggire prima in Egitto e per tornare dopo un po' di tempo nel paese di Israele.
Come dunque riesprimere le ragioni della nostra speranza in Gesù di Nazaret? Ci dice appunto il Vangelo oggi: obbedendo all'Angelo che invita anche noi ad accogliere "il bambino e sua madre". E se è confortante guardare all'obbedienza pronta di Giuseppe, poi è importante saper scavare a fondo sulla modalità nella quale si esprime la custodia di Giuseppe nei confronti di Gesù. La sua singolare paternità. Giuseppe per un verso si fa carico di Gesù, ma insieme anche di una donna che certo non ha concepito un figlio che proviene da lui. Gesù e Sua madre sono tutt'uno per Giuseppe.
Se prima delle nostre ragioni a riguardo della ‘custodia’ di Gesù c'è una obbedienza confidente e profonda, che ci può raggiungere nel cuore soltanto se siamo in giusto ascolto di Dio, come Giuseppe, riuscire ad agire come lui significa farsi carico ancora della totalità piena e complessiva del mistero di Dio che così si è rivelato in Gesù.

Come si esprime dunque la fede di Giuseppe, la sua santità? Non abbiamo a che fare con un credente nel senso specificamente cristiano del termine. Il vangelo del resto neppure ci testimonia che Giuseppe sia stato presente nella vita pubblica di Gesù, ai Suoi miracoli e alla Sua predicazione, fino a restare, come Maria, davanti alla Sua morte e risurrezione pasquale. E, dunque, che santità è mai quella di Giuseppe? Matteo ce la descrive attraverso l'esperienza del sogno. Qualcosa di molto simile alla stella che già aveva guidato i Magi a Betlemme: "I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse" e "Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe".
Il sogno, le stelle sono linguaggi diversi dall’esperienza della parola, della verbalizzazione. Se la parola ha una discorsività di carattere razionale, nell'intenzione primaria di voler spiegare, il sogno e le stelle alludono a qualcosa di più evocativo. A questo livello si comprende prorpiamente la figura di Giuseppe, che è “giusto”, e che, stando anche ai vangeli, non pronuncia una parola, una domanda, come Maria. A questo livello pre-verbale va dunque compresa la santità di Giuseppe che proprio così ha incontrato Gesù, come il Figlio di Dio. Se i sogni di Giuseppe, come la stella dei Magi, ci introducono ad un linguaggio, ad una espressione della fede che non coincide con la verbalizzazione propria dei Vangeli, tuttavia ci testimoniano che anche così si accede alla verità di Gesù. Stabilendo con Lui un contatto reale. Come un padre impara a tenere tra le braccia quel figlio che proprio la sua donna gli ha generato.

E un particolare non deve sfuggire: il fatto che Giuseppe fa seguire all'esperienza del sogno, un’ azione che, propria del suo popolo nell’esperienza dell’Esodo, diventerà piena di senso e di valore salvifico con la Pasqua di Gesù: quella di destarsi e di alzarsi. Proprio come in piedi restano, vegliando, gli ebrei la notte di Pasqua, prima di incamminarsi verso la Terra promessa; così come sta ritto Gesù risorto, dopo essere passato attraverso la dura esperienza del sonno della morte.
La figura di Giuseppe non è davvero secondaria nella meditazione della primitiva comunità cristiana che è preoccupata di comprendere in pienezza il mistero di Gesù di Nazaret. La sua concreta obbedienza testimonia non solo una reale assunzione del mistero degli inizi di Gesù, ma già una vera e propria anticipazione e adesione al mistero Pasquale della Sua morte e risurrezione. Anche il suo stesso silenzio è significativo. Una vera e propria introduzione al pieno dispiegarsi della Parola di Dio, in Gesù suo Figlio.

Un anno va a concludersi è un altro già appare all’orizzonte. Non manchi la serenità di continuare a sperare in Colui che ci ha raggiunti per restare con noi, per sempre. Il Signore faccia splendere su ciascuno di voi il Suo volto e vi doni ancora la Sua pace.
Che sia ancora per tutti una buona domenica.

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