domenica 23 dicembre 2007

Divina Maternità della Beata Vergine Maria - Sesta Domenica dell’Avvento Ambrosiano

La Madonna del Parto, Piero della Francesca (Monterchi)

Luca 1,26-38: [26]Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, [27]a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. [28]Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». [29]A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. [30]L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. [31]Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. [32]Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre [33]e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».[34]Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». [35]Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. [36]Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: [37]nulla è impossibile a Dio». [38]Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.


Cari amici e care amiche,

domenica prossima, 22 dicembre 2008, celebreremo, secondo il rito Ambrosiano, la Divina Maternità della beata vergine Maria. Proviamo in occasione di questa liturgia così natalizia a guardare alla Parola di Dio a tutto campo.

Nella prima lettura (2 Samuele 7,1-5.8-12.14-16), infatti, ci sono come due personaggi che si cercano, come presi ambedue da un profondo affetto: il re Davide e il Signore, suo Dio. Davide, dopo aver vagato da una tenda all’altra durante le guerre che aveva sostenuto, ora si lascia prendere dal desiderio di una casa più stabile e sicura. Ma mentre lui ha l’opportunità di abitare in una casa di cedro, l’arca del Signore si trova ancora sotto una tenda. Per questo Davide chiama il profeta Natan per considerare cosa è possibile fare per dare al Signore una dimora più dignitosa.
Ma a questo punto entra in azione il Signore: “Forse tu mi costruirai una casa perché io vi abiti?”. Lui non ama stare in una casa troppo rigida e stabile perché la Sua casa è anzitutto là dove sono gli uomini. Con il loro andare e venire. Con le instabilità e le incertezze, anche abitative, che spesso li caratterizzano. Il Signore ricorda a Davide che S’era innamorato del Suo popolo quando era ancora una piccola tribù di nomadi. Ma se ora Davide desidera abitare in una casa più stabile, allora non sarà Davide a costruirGli una casa, ma piuttosto: “una casa farà a te il Signore”.

Certo, il desiderio di Davide è molto nobile, ma il sogno di Dio è più grande. Del resto, non c’è religione che non abbia cercato di collocare Dio: nel cuore delle cose (tutto è pieno di dei dicevano gli antichi), sulla cima di un monte, dentro le mura di un tempio o di una chiesa. Ma ormai sta avvenendo un passaggio che solo Dio poteva inventare. A Dio, infatti, non basta più abitare ‘accanto’ a noi, con noi. Vuole piuttosto abitare ‘dentro’ di noi. Siamo cioè davanti al mistero non solo della vicinanza di Dio all’uomo, ma dell’incarnazione o dell’inabitazione di Dio nell’uomo.
Già la vicenda di Dio, che si lega così intimamente al popolo di Israele, fa intuire la misura del Suo affetto per gli uomini che trova concretizzazione in un popolo. Ma adesso un’arca non basta più. Non basta la vicinanza affettiva. Nel cuore di Dio è scattato il desiderio di realizzare con gli uomini un vero e proprio congiungimento sponsale, capace di generare al mondo Suo Figlio.
Come se Dio stesso, da grande innamorato, si lasciasse attraversare da questa domanda: cosa posso fare di meglio per l’umanità intera? Per questo, rischiando da vero innamorato, decide, guardando a Maria, di avviare la Sua più grande strategia, purchè l’amore si compia anche in noi per sempre. A Natale, prima d’essere davanti alla disponibilità singolare di Maria, ci è chiesto di sostare davanti a un Dio, semplicemente innamorato di lei.

Questo ci testimonia l’inizio del brano evangelico (Luca, 1,26-38): “Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”. In Maria si raccoglie, dunque, tutta la passione d’amore che Dio ha per ogni uomo. In Maria Dio stesso Si raccoglie, consegnandoSi soltanto per amore all’intera umanità.
Ma è chiaro che Dio non sceglie Maria in modo strumentale, perché poi avrebbe potuto diventare la madre di Suo Figlio. Il Suo è, piuttosto, un vero e proprio gratuito atto d’amore. Sceglie, cioè, Maria semplicemente perché è proprio lei, Maria.
Ma come attuare un piano di questo genere? Diremmo, con un linguaggio tipicamente nostro: come scrivendole una bella lettera, inviandole un Suo messaggero. In questo modo tutte le notazioni personali, di luogo e di circostanza, sembrano gli elementi necessari di un indirizzo che anche l’“Angelo Gabriele” deve seguire con precisione: “in una città della Galilea, chiamata Nazaret, ad una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”.

Che Dio Si innamori di una donna come Maria potrebbe destare qualche reazione nelle nostre riflessioni un po’ moraleggianti. Persino, forse, qualche gelosia nascosta. Di fatto, la sequenza propria dell’incarnazione di Dio tra gli uomini segue, con grande coerenza, l’itinerario col quale un uomo, dopo essersi accostato con amore a una donna, desidera per lei e con lei il dono di un figlio. Per questo, proprio nella carne di Maria, Gesù, il Figlio di Dio, prende carne d’uomo.
Il valore inestimabile dell’agire di Maria nel progetto di incarnazione di Dio tra gli uomini è testimoniato dall’evangelista Luca, che annota con precisione anche la sua prima reazione al saluto dell’angelo: “A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto”. Questo suo turbamento giustifica ulteriormente l’esperienza di innamoramento che caratterizza l’incontro tra Dio e Maria. Come un’autentica esperienza affettiva, senza retorica.

Gabriele, accorgendosi del suo stato d’animo, si premura di dirle: “Non temere, Maria”, spiegandole con maggior precisione i termini della situazione: “Perché hai trovato grazia presso Dio”. E’, infatti, solo frutto di grazia quanto sta accadendo, amore gratuito, pura presenza: “il Signore è con te”. Poi, le traduce questa singolare vicinanza di Dio col fatto umano più bello che mai possa capitare a una donna: “Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Per questo, dunque, al turbamento e all’annuncio, segue anche una domanda accorata, propria di chi volendo cominciare a capire, tuttavia già si affida: “Allora Maria disse all'angelo: ‘Come è possibile? Non conosco uomo’”. Anche l’intelligenza, nello stupore della grazia, chiede di poter partecipare di una gioia così grande.
Maria non è intimorita, ma consapevole del fatto che Dio l’ha definitivamente coinvolta. In lei sta prendendo corpo il più grande sogno di Dio. Più che ragionare di Dio, Maria sta ormai dialogando con Lui. SentendoSi madre già sta parlando con quel Figlio che Dio stesso le ha regalato.
La domanda diretta di Maria ci introduce, piuttosto, a un nuovo modo di rapportarsi a Dio e di pensarLo. Se lei è la nuova arca della alleanza tra Dio e gli uomini, come Dio stesso può prendere corpo dentro l’amore di uomo e di una donna?

La risposta dell’angelo è, a un tempo, singolarmente divina e profonamente umana: “Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio”. Così Maria s’è lasciata definitivamente possedere da Dio: proprio nei termini nei quali Dio l’ha voluta possedere, realizzandola come donna col dono di una divina maternità. Per questo, non c’è alcun motivo per opporre resistenza: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”.
La ricomprensione di Dio che Maria inaugura, precorre già l’adesione piena di suo Figlio Gesù alla volontà del Padre Suo: quando, dall’alto della croce, griderà il senso ultimo della Sua stessa esistenza: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). La Divina Maternità di Maria introduce tutti noi a stare già nell’obbedienza d’amore del Figlio.

Cari amici e care amiche, la celebrazione liturgica del Natale di Gesù è alle porte. Sia dunque pace nei vostri cuori. Sia luce di speranza nei vostri occhi. Questo è l’ augurio per ciascuno di voi.

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