domenica 25 novembre 2007

II Domenica - Avvento Ambrosiano – Anno A

Gesù entra in Gerusalemme (iconografia russa)

Matteo 21,1-9: [1]Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli [2]dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un'asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. [3]Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito». [4]Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: [5]Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un'asina, con un puledro figlio di bestia da soma. [6]I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: [7]condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere.
[8]La folla numerosissima stese i suoi mantelli sulla strada mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla via. [9]La folla che andava innanzi e quella che veniva dietro, gridava: Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli! [10]Entrato Gesù in Gerusalemme, tutta la città fu in agitazione e la gente si chiedeva: «Chi è costui?». [11]E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».


Cari amici e care amiche,

con domenca prossima (II domenica dell’Avvento ambrosiano, 25 novembre 2007) siamo invitati a mantenere lo sguardo fisso su Colui che viene (adventus, avvento), ascoltando con intelligenza vivace l’episodio narrato dal brano evangelico di Matteo 21,1-9.

Una cultura come la nostra, che non sa aspettare e non sostiene facilmente i tempi di una maturazione lenta e graduale dei valori e delle esperienze, riconduce con immediatezza il tema dell’attesa, propria dell’Avvento liturgico, al Natale di Gesù Bambino. Disattendendo in questo modo ad una corretta educazione a saper attendere, alla capacità di aspettare. Maturando gradulamente l’acquisizione di un valore o di una scelta vocazionale o professinale.
Se la logica dell’accelerazione commerciale (e artificiale) di un prodotto perde facilmente la genuinità, rappresentata da una artigianalità qualitativa, anche la velocizzazione dei metodi di apprendimento e della comunicazione rischiano di non rispettare una acquisizione più matura e consapevole di alcuni valori, umani e spirituali, sempre più necessari e urgenti per la nostra civiltà. Pur rimanendo bloccati per ore nel traffico caotico delle nostre citta, la logica profonda dell’attesa fatica ad educarci davvero. Tendere sempr e costantemente a “qualcosa”, arrivando spesso e comunque ‘in ritardo’, stando alle nostre tempistiche sempre più inadeguate, è altro rispetto a quanto la liturgia dell’Avvento ci vuole trasmettere, chiedendoci un salto qualitativo rispetto al nostro modo di gestire il tempo. Con il tempo liturgico di Avvento non si tratta infatti di aspettare qualcosa, ma propriamente “Qualcuno”.

Ci è chiesto però un supplemento di attenzione. Se l’attesa di qualcosa è sempre un po’ calcolata, Non si può certo calcolare e funzionalizzare Qualcuno. Possiamo semplificare e ridurre l’attesa, a Natale, di Gesù Bambino. Così spesso commercializzato e tradotto in un vecchio e barbuto Babbo Natale. Ma non può essere banalizzata l’attesa di Colui che viene a visitarci, proprio come a Lui anzitutto piace. Su Lui, infatti, va concentrata l’attenzione.
Per questo è decisivo rendersi conto che è anzitutto Dio che viene. Prima ancora del nostro andare volontaristicamnte verso di Lui. Se poi decidiamo di accogliere positivamente questa prospettiva, allora Colui che viene, il nostro Dio, va accolto non come decidiamo di accoglierLo, ma propriamente come Lui stesso ha deciso e decide ancora di venirci incontro.
Dunque, questa potrebbe essere la domanda, più semplice e corretta, che scaturisce dall’esperienza liturgic dell’Avvento: come ci viene incontro Dio, stando alla Paorla evangelica che sarà proclamata in questa domenica?

Intanto, stando al Vangelo di domenica prossima, Gesù ci viene incontro con una immagine più pasquale che natalizia. Un brano evangelico di questo genere noi lo vedremmo meglio collocato a Pasqua che a Natale. Ma è chiaro che la liturgia ci vuole già comunicare che il Signore che viene, che ci viene a visitare, non è semplicemente un uomo, ma è già Colui che darà la Sua vita per noi, passando attraverso l’esperienza dura e dolorosa della Sua morte in croce.
Addentrandoci poi nel brano evangelico, ci si accorge che Gesù ci viene incontro inviando, come fossero i Suoi avamposti, dei messaggeri: “Gesù mandò due dei suoi discepoli dicendo loro: ‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte’”.
Si tratta della modalità d’invio tipica del mandato apostolico, come si afferma anche altrove: “Poi chiamò a sé i dodici e cominciò a mandarli a due a due; e diede loro potere sugli spiriti immondi” (Mc 6,7). Ma chi viene inviato in questo caso è come se venisse coinvolto definitivamente nella Sua stessa missione: “‘Andate nel villaggio che vi sta di fronte: subito troverete un’asina legata e con essa un puledro. Scioglieteli e conduceteli a me. Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà subito’. Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: ‘Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma’”. Mentre c’è anzitutto “un’asina legata e con essa un puledro”, c’è però anche una richiesta precisa: “scioglieteli e conduceteli da me”.

La condizione nella quale l’umanità si trova è anzitutto soggiogata al peccato, ma appunto Egli viene per scioglierci dal male e così ricomprenderci tutti nel Suo Regno. L’immagine di Gesù che viene per scioglierci dal potere del peccato e della morte potrebbe essere ben interpretata riferendoci al racconto della risurrezione di Lazzaro, quando Gesù dice: “Scioglietelo e lasciatelo andare” (Gv 11,44). Infatti: “Io vi dico in verità che tutte le cose che legherete sulla terra, saranno legate nel cielo; e tutte le cose che scioglierete sulla terra, saranno sciolte nel cielo” (Mt18,18). Da parte dei Suoi discepoli resta piuttosto l’impegno di continuare a ricondurre a Lui l’umanità intera, come è stato loro chiesto: “conduceteli a me”.
Continaundo, dunque, a scavare in questa immagine di regalità e di liberazione propria del nostro Dio che ci viene incontro, ci sarebbe spazio anche per altre precisazioni. Ad esempio, la possibilità di obiettare alla Sua opera di salvezza: “Se qualcuno poi vi dirà qualche cosa, risponderete: Il Signore ne ha bisogno”. Se per un verso l’opera di salvezza è sottoposta a un ‘bisogno’ che parte dal cuore stesso di Dio, per un altro va pure registrato uno squisito tratto di rispetto e attenzione da parte Sua: “ma li rimanderà subito”. Perchè “il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc 19,10).

In questo modo si compie la profezia di Zaccaria: “Ora questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta: Dite alla figlia di Sion: Ecco, il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma”. Ma è decisivo accorgersi che Gesù che viene per compiere la Sua opera nel mondo non viene con i tratti di un re potente e violento, ma mite e arrendevole, proprio come l’asina e il puledro che già sta cavalcando.
L’esperienza della croce nella quale Gesù Si sta ormai cimentando potrebbe persino non essere compresa da coloro che Egli intende salvare. Ma almeno ai Suoi Gesù chiede il pieno affidamento dell’amore, invitandoli ad eseguire, ripetendo, quanto Lui stesso ha compiuto. Non è affatto negato il valore di una comprensione intelligente, ma per i Suoi discepoli l’acquisizione di un significato passa per l’obbedienza propria di chi, solo amando, comprende.
L’immagine è evidente: “condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere”. Infatti, proprio “questo è Gesù, il re dei Giudei” (Mt 27,37). Per un verso, la croce sulla quale Gesù sale non è che l’asina col suo puledro, cioè quella stessa umanità che i Suoi discepoli Gli hanno portato; per un altro, l’aggiunta dei loro mantelli rappresenta tutto ciò che si può possedere nella propria povertà. Perchè un mantello è pur sempre ad un tempo vestito, giaciglio, coperta e persino una casa.

E così, tra questo Re Crocifisso e la folla si instaura una relazione singolare e, si potrebbe anche dire, avvolgente: “la folla che andava innanzi e quella che veniva dietro” , che addirittura grida a piena voce e con forza la sua intuizione più profonda: “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. Un canto che tanto assomiglia all’invocazione gridata dei due ciechi di Gerico: “Signore, abbi pietà di noi, Figlio di Davide” (Mt 20,30).

L’eucaristia domenicale è lo spazio reale nel quale ci è dato di continuare ad accogliere Colui che continuamente ci viene a visitare. Con la Sua parola, che diventa per noi pane spezzato e sangue versato per amore.
Proprio così Gesù contina a venire, continua a visitarci, ripetendoci che questo è il Suo e-vangelo.
Dunque: il Signore viene! Maràn athà: vieni Signore Gesù!
Vieni, vieni sempre, vieni ancora in mezzo noi. Buona domenica a tutti.

domenica 18 novembre 2007

I Domenica - Avvento Ambrosiano – Anno A

Giotto, Giudizio Universale (particolare, Padova, Cappella degli Scrovegni)

[30]Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. [31]Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli” (Mt 24,30-31).


Matteo 24,1-14.29-31.42[1]: [1]Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. [2]Gesù disse loro: «Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata». [3]Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». [4]Gesù rispose: «Guardate che nessuno vi inganni; [5]molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. [6]Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. [7]Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; [8]ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori. [9]Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. [10]Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. [11]Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; [12]per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. [13]Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato. [14]Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.
[15]Quando dunque vedrete l'abominio della desolazione, di cui parlò il profeta Daniele, stare nel luogo santo - chi legge comprenda -, [16]allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti, [17]chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa, [18]e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. [19]Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni. [20]Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato. [21]Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora, né mai più ci sarà. [22]E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati. [23]Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: E' là, non ci credete. [24]Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti. [25]Ecco, io ve l'ho predetto. [26]Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: E' in casa, non ci credete. [27]Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. [28]Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi. [29]Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte. [30]Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria. [31]Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.
[32]Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. [33]Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte. [34]In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada. [35]Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. [36]Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre. [37]Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. [38]Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, [39]e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo. [40]Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. [41]Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.
[42]Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
[43]Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. [44]Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.


Cari amici e care amiche,

con questa domenica (18 novembre 2007) entriamo nell’Avvento ambrosiano. Siamo anche all’inizio di un anno liturgico, nel quale sarà proposta – di domenica in domenica – la lettura del Vangelo di Matteo. In modo particolare, la pagina evangelica di questa domenica (24,1-14.29-31.42) chiede d’essere ben compresa. Ci si trova, infatti, all’interno del cosiddetto ‘discorso escatologico’, il V° e ultimo discorso di Gesù, secondo il Vangelo di Matteo. Riguardante cioè le cose ultime, i consigli più decisivi e importanti per i Suoi discepoli.

La constatazione di partenza tocca la questione della distruzione del Tempio di Gerusalemme: “Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. Gesù disse loro: ‘Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata’”. Gesù prende spunto dalla distruzione del Tempio (che sarebbe avvenuta nel ’70 d.C.), simbolo e orgoglio della spiritualità ebraica, per avviare una riflessione sulla fine del mondo e, di conseguenza, sul Suo ritorno finale: “i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: ‘Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo’”.
Vanno così evidenziati due passaggi, per cogliere il senso corretto di questo testo evangelico. Anzitutto la distruzione del Tempio che prelude la fine del mondo. La fine di un simbolo religioso così alto decreta la fine di una religione e questa conclusione s’intreccia con la fine di ogni cosa. Con la fine del mondo, appunto. Ma proprio questa declinazione del tema della fine delle cose più significative diventa concretamente l’orizzonte all’interno del quale si dischiude definitivamente lo stesso apparire di Gesù. Il Suo atteso ritorno tra noi.

In questo senso, i Suoi discepoli sono esplicitamente alla ricerca di alcuni segni inequivocabili in grado di rassicurarli che Gesù, il loro Maestro, ritornerà davvero. Per questo Gesù s’inoltra nella descrizione degli elementi necessari per un corretto discernimento: “Guardate che nessuno vi inganni; molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno”. Restare, infatti, in attesa di Lui, aspettando anzitutto Lui, chiede e chiederà ancora e sempre un preciso esercizio dell’intelligenza.
Le stesse guerre e i timori di guerra non sono ancora il segno evidente del ritorno del Cristo: “Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine”. Seppure l’esperienza della distruzione e della morte che una guerra comporta è dolorosa e terribile, tuttavia non siamo ancora in presenza di un Suo definitivo ritorno. E se anche “si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi”, questo è certo “l’inizio dei dolori. Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome”. Ma non è ancora questo il tempo della fine: è, invece, quello di una testimonianza ancora più esplicita e chiara.
Dunque, tra il tempo ultimo della fine e quello, conseguente, della venuta gloriosa di Gesù sta, il tempo della testimonianza. Una fase della nostra storia che già nel primo discorso del vangelo di Matteo è definita nei termini della beatitudine. Un’occasione singolare di santità e di santificazione per tutti i Suoi discepoli: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (5,11-12).

La prima reazione, in questo stato di cose, potrebbe essere di scandalo: “Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda”. Una seconda potrebbe essere rappresentata addirittura dall’inganno e da una diffusa falsità: “Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti”; sino a profilarsi all’orizzonte persino ingiustizia e malvagità: “per il dilagare dell’iniquità l’amore di molti si raffredderà”.
A tutti coloro che si dovessero trovare in situazioni simili Gesù chiede il coraggio della perseveranza: “ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato”, mentre “questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti. E allora sarà la fine”. Nel contesto di persecuzione estrema dei credenti e di annuncio universale del Vangelo di Gesù, la fine delle cose preluderà così alla fine del mondo. Cioè: “sarà la fine”.

Cosa avverrà “subito dopo la tribolazione di quei giorni”? Con linguaggio apocalittico – “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, gli astri cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno sconvolte” – Gesù diventa così più esplicito a Suo riguado. Descrivendo il precipitare di qualsiasi corpo celeste, introduce i Suoi discepoli al senso ultimo della fine di ogni cosa, proclamando che nella Sua fine sulla croce Lui diventa il fine e il senso di tutto ciò che per natura è destinato a finire. Per questo compare “nel cielo il segno del Figlio dell’uomo”, mentre tutte le fonti luminose celesti precipitano impallidite: “si fece buio su tutta la terra” (27,45). Morendo sulla croce, Gesù diventa proprio il grande segno – luminoso ed evidente – richiesto dai discepoli: “allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo con grande potenza e gloria”. Come le folle, che davanti a quello spettacolo,“se ne tornavano percotendosi il petto” (Lc 23,48).

Siamo così introdotti alla scena finale: “Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli”. Non è decisivo determinare un tempo preciso nel quale tutto questo avverrà. Del resto, Gesù stesso afferma “Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre. Determinante è, piuttosto, l’atteggiamento di fondo che i Suoi discepoli dovranno imparare ad esercitare: “Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina. Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte”.
Siamo, dunque, invitati a saper vivere con maggior vigilanza: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. La questione ultima non sta nel temere la fine, quanto nel rischio di non riconoscerLo nella Sua Gloria crocifissa effettiva. Vigilare significa, pertanto, contemplarLo Crocifisso, là dove ormai si trova.

L’Eucaristia domenicale, anche in questo tempo di Avvento che sta per iniziare, sarà determinante per immetterci proprio nella contemplazione reale della morte e risurrezione di Gesù.
Che l’Avvento sia un tempo di attesa di Lui per giungere, nel Suo natale, a una comunione sempre più piena e reale con Lui che ci viene a visitare.

Buona domenica a tutti.

domenica 11 novembre 2007

Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo

Renato Guttuso, Crocifissione (1941, olio su tela, Collezione Guttuso di Velate, Varese)


Luca 23,35-43: [35]Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto». [36]Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli dell'aceto, e dicevano: [37]«Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». [38]C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei. [39]Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!». [40]Ma l'altro lo rimproverava: «Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? [41]Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male». [42]E aggiunse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». [43]Gli rispose: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima (11 novembre 2007), secondo il rito Ambrosiano – con un anticipo di due settimane rispetto al Romano – si celebra la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo. Così, a conclusione di questo anno liturgico, viene proposta la lettura di Luca 23,35-43. In questo senso la liturgia invita tutti a fare memoria di quanto è stato proposto in senso evangelico nell’arco dell’anno passato: la memoria viva di Gesù morto e risorto. Questo, infatti, i cristiani sono invitati anzitutto a ricordare. Pregando e meditando “senza stancarsi” (Lc 18,1).

Proprio Lui, Crocifisso, “il popolo stava a vedere”. Anche se, stando al contesto, lo ‘spettacolo’ è più ampio. Si dice, infatti, poco prima che, “quando giunsero sul luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. Gesù diceva: ‘Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno’. Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte. Il popolo stava a vedere” (Lc 23,33-35a).
Questo rapporto tra la gente e il Crocifisso supera – se inteso anzitutto dalla parte di Gesù che pure, a Suo modo, vede la gente – qualsiasi discussione e interpretazione. Ai nostri giorni, ad esempio, si può anche continuare a disquisire sulla collocazione di un crocifisso nelle aule di una scuola o in un tribunale, ma ciò che resta indelebile è proprio il fatto che nessuno potrà mai più interrompere questa singolare relazione. Del resto, proprio Gesù aveva previsto, parlando di questo momento: “io, quando sarò innalzato dalla terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).

E mentre “il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano”. In Matteo addirittura si nota che sono proprio loro quelli che, passando “di là, lo ingiuriavano, scuotendo il capo” (27,39), constatando forse, per propria soddisfazione, il fallimento del messianismo, dell’immagine di Messia, che Gesù aveva voluto proclamare. Lui, che S’era permesso di dire: “Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!” (Gv 2,19), ora sta lì, inchiodato a una croce, apparentemente impotente in attesa di una morte inesorabile.
Proprio questa provocazione dei capi dei Giudei fa soprattutto sintesi di una questione teologica decisiva: “ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto”. Intendendo così porre la questione dell’identità e della realtà stessa di quel Dio che Gesù ha annunciato con grande consapevolezza e coraggio. Se per loro il segno ultimo della verità che Gesù è davvero quel Dio che Lui stesso ha annunciato si dimostrerebbe nella capacità di salvare se stesso, la questione, dalla parte del Dio di Gesù sta invece proprio in questa morte di Suo Figlio. Per amore. Senza alcuna riserva logica, teologica o religiosa. Quanto essi non potranno comprendere di Gesù, che appunto Si è proclamato “figlio di Dio”, è proprio questa Sua esistenza crocifissa, che giunge “fino alla morte, e alla morte di croce” (Fil 2,8).
Su questa Sua morte si scommette ormai il senso ultimo di Dio. La Sua definitiva rivelazione. Infatti: “Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici” (Gv 15,13). Dopo questa Sua estrema rivelazione evangelica, qualsiasi teologia – qualsiasi tentativo di dire e comprendere Dio – non potrà più prescindere da questa Sua morte. Questo è il nostro Dio.

Si potrebbe dire, inoltre, che l’intera scena della Crocifissione assume, secondo il testo di Luca, una prospettiva universale. Infatti, tutte le categorie presenti a questo singolare ‘spettacolo’ si sentono in dovere di esprimere un giudizio. Ecco, dunque, che dopo la folla e i capi dei Giudei, è la volta dei pagani, perché “anche i soldati lo schernivano”. Come si trattasse di un poveraccio, incappato suo malgrado negli ingranaggi della giustizia romana, essendoSi ingenuamente proclamato “Re”.
A loro resta lo spazio dello scherno: “e gli si accostavano per porgergli dell’aceto”. Ma, proprio loro, non si rendono conto della portata della loro beffa, finendo per proclamare la vera identità del Crocifisso: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Replicando così, in termini civili, la stessa pretesa teologica che già i capi dei Giudei hanno contestato a Gesù. Anche per loro, del resto, non è paradossale la morte di un uomo. Inaccetabile è la morte di Chi Si è proclamato addirittura “Figlio” del re. Per questo “c’era una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei”, scritta che, stando a Giovanni (19,20), è addirittura in tre lingue: greco, latino e aramaico . La pluralità dei linguaggi denuncia così una comunicazione universale del significato della morte di Gesù.

Accanto a Gesù Crocifisso, con una dimostrazione di condivisione universale che solo un Dio così poteva inventare, stanno però due malfattori. Anzi,“uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi. Ma l’altro lo rimproverava”. Il Crocifisso ha una forza comunicativa così intensa e universale da rapportarSi e insinuarSi persino nelle pieghe più affaticate e oppresse di questa nostra storia. Arrivando proprio là dove qualcuno soffre, dove ancora qualcuno muore.
Meno importa la reazione all’impatto. Anche se in un primo momento potrebbe persino avere il sapore dell’ignoranza e della bestemmia. La mancanza – anche nella nostra cultura – di un serio esercizio al ‘timor Domini’ potrebbe indurre ad accusare Dio stesso d’essere la causa dei mali che ci affliggono o della nostra stessa malvagità. Nessuno, del resto, è esente da questa ‘fuga’ dalla verità di un Crocifisso che ci salva. Persino i Suoi discepoli fuggono davanti alla prospettiva di questo spettacolo insopportabile: “Tutti i discepoli l’abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56). Mentre le parole dell’“altro”malfattore crocifisso con Lui risuonano come un rimprovero al non saper ‘restare’, rimandendoGli accanto: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. O davanti a Lui “ci si copre la faccia” (Isaia 53,3), oppure si ‘resta’. Come Maria, “presso la croce di Gesù” (Gv 19,21).
La libertà del discepolo sta, dunque, nell’esercizio quotidiano di chi decide di prendere posizione, collocandosi da una parte o dall’altra della Sua centralità di Crocifisso per sempre nella nostra umanità. Con Lui ci si può ormai solo confrontare. IgnorarLo, questo sarebbe davvero peccaminoso.

Scegliere la logica di un Dio crocifisso, optando proprio per questa teologia singolare, permette, di conseguenza, la spiritualità della confidenza e dell’abbandono: “E aggiunse: ‘Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno’”. Sono parole ricolme di un affidamento che descrive lo spazio d’espressione possibile e concreta della stessa fede cristiana. Come la preghiera del pubblicano: “O Dio abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13).
Vale la pena notare che, mentre i capi, i soldati e anche l’altro malfattore, si erano rivolti al Crocifisso chiamandoLo col titolo teologico di “Cristo” (l’unto di Dio), solo quest’ultimo Lo invoca per nome, dicendo: “Gesù”, cioè Salvatore (Dio salva). Come anche Paolo dirà: perché “nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sottoterra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. (Fil 2,10-11).
La risposta di Gesù Crocifisso è semplicemente piena della tenerezza di cui solo un Dio così è capace: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”. Se una fantasia un po’ semplificante, che poco si confronta con la Parola di Dio, ha mai cercato di immaginare cos’è “il paradiso” che ci attende, Gesù ci assicura che più che essere un ‘luogo’ questo è anzitutto l’essere con Lui “oggi”, per sempre.

Sia dunque anche questa domenica, nella quale celebriamo la memoria eucaristrica della Sua morte e risurrezione, il segno della salvezza che oggi, già da oggi, Egli è venuto a donarci ancora. Buona domenica a tutti.

domenica 4 novembre 2007

XXXI Domenica del Tempo Ordinario

Se vi dicono che afferrate le nuvole, che battete l’aria, che non siete pratici, prendetelo come un complimento. Non fate riduzioni sui sogni. Non praticate sconti sull’utopia. Se dentro vi canta un grande amore per Gesù Cristo e vi date da fare per vivere il Vangelo, la gente si chiederà: Ma che cosa si cela negli occhi così pieni di stupore di costoro? (mons. Tonino Bello)

Luca 19,1-10: 1Entrato in Gerico, attraversava la città. 2Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. 5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; 10il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima, 4 novembre 2007, ricorre la XXXIa domenica del Tempo Ordinario. Continua la lettura del Vangelo di Luca (19,1-10). Effettvamente, l’episodio dell’incontro tra Gesù e Zaccheo è una di quelle pagine che lasciano il segno e che facilmente si stampano nella menoria. C’è, ad un tempo, qualcosa di simpatico e di singolare in questo personaggio che si converte a Gesù. Forse per questo, alcune chiese orientali annoverano Zaccheo tra i loro santi.[1]
Così che, mentre la buona notizia di Gesù raggiunge Zaccheo, questa diventa buona notizia (e-vangelo) anche per ciascuno di noi, permettendo al nostro cuore di diventare più disponibile e accogliente. Un vero e proprio e-vangelo nell’e-vangelo!
Dunque: “Ecco un uomo di nome Zaccheo”. Zaccheo per sé significa ‘puro’, ma come abbreviazione di Zaccaria significa ‘Dio ricorda’. Perché attraverso di lui ancora una volta Dio Si ricorda di noi, come dice anche il salmo 8: “Cos’è un uomo perché ti ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne curi?”. Dio, infatti, in Gesù Si cura sempre di noi. Se è decisivo accorgersi del percorso che Zaccheo fa per ‘riuscire a vedere’ Gesù, ancor più significativo è evidenziare cosa Gesù anzitutto compie per ‘vedere’ Zaccheo.

Dal nostro punto di vista è propriamente Zaccheo che “cercava di vedere Gesù”. Perché ‘vedere Gesù’ è una esperienza tra le più importanti del Vangelo. C’è chi vorrebbe toccare anche solo la frangia del Suo mantello; chi bacia e abbraccia i Suoi piedi, come Maria di Magdala; chi Lo osserva, mantenendo le distanze, come gli scribi e i farisei; chi, invece, è affascinato persino dalla Sua bellezza fisica, proclamando beata Sua madre, Maria; chi grida per farsi sentire da Lui, come il cieco (di Gerico), e chi, infine, si abbandona sul Suo cuore, come il Discepolo amato, ‘perdendo la testa’ per Lui. Si tratta, dunque, di saper scavare in questo desiderio, che anche noi potremmo provare.
Ma cosa significa propriamente ‘vedere’ Gesù? Tanti lo hanno visto con gli occhi, ma non per questo Gli hanno creduto. Zaccheo, infatti, voleva vedere “Gesù quale fosse”, volendo cioè raggiungere la Sua identità più profonda. Non basta ‘guardare’ con gli occhi, Zaccheo vuole ‘vedere’ con il cuore. Questo è il punto: raggiungere l’identità di Gesù. “Che sia lui il Messia?” grida la Samaritana ai compaesani (Gv 4,29); “Vieni e vedi” dice Filippo a Natanaele (Gv 1,45s); così come il Centurione romano, davanti allo ‘spettacolo’ della Sua croce, “vistolo spirare in quel modo, disse: ‘Veramente quest’uomo era figlio di Dio’”. (Mc 11,39). Sin qui siamo chiamati a vedere.

Di Zaccheo si dice propriamente che, volendo vedere Gesù, “non gli riusciva a causa della folla”. La folla, in genere, ha sempre nei vangeli, un ruolo ambiguo nei confronti di Gesù. Lo cerca in modo disordinato, quasi assediandoLo, creando intorno a Lui una sorta di ostacolo che non permette di individuarLo a chi Lo sta cercando davvero. Del resto, non mancheranno mai degli ostacoli capaci di frenare l’incontro diretto con Lui. Piuttosto rimane decisivo soprattutto un fattore più soggettivo, proprio di Zaccheo, perché “era piccolo di statura”. L’uomo, infatti, è sempre piccolo davanti a Lui. Mentre Lui ci prende così come siamo, per quello che siamo. Come Saulo di Tarso, che cambierà il suo nome in Paolo, che significa ‘piccolo’, ‘poca cosa’ (At 13,9), definendosi: il primo tra i peccatori e l’ultimo tra i santi, quasi un aborto.

A Zaccheo, da uomo furbo e capace, non resta che mettere in atto una strategia: “Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là”. Dunque “per poterlo vedere”, decide di compiere due azioni decisive e insolite, considerata la dignità, l’immagine di capo dei pubblicani (arcipubblicano) di cui gode in Gerico.
Anzitutto, corre avanti per precedere Gesù, tentando così di superarLo. Lo precede un po’ come Giovanni il Precursore, o proprio come i discepoli precedevano Gesù per annunciarNe l’arrivo nei villaggi e nelle città. Zaccheo in questo modo finisce già per essere Suo discepolo. Per questo, senza preoccuparsi della propria onorabilità, “salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là”. Se, per un verso, la scena è curiosa, per un altro, nella luce del discepolato, sembra prefigurare la stessa salita di Gesù sull’albero della croce.
Ciò che potrebbe mancare nel nostro desiderio di vedere Gesù è, stando all’esemplarità di Zaccheo, l’avvio di una strategia concreta e precisa per raggiungere davvero la Sua vera identità. Più che frutto di furbizia, si tratta di mettere in campo, senza troppi calcoli, l’amore, perché “Chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Lc 11,10). Resta che anche la furbizia dei santi è istruttiva.

Da una parte, c’è tutta la tensione strategica di Zaccheo “per vedere Gesù”, dall’altra però è Dio stesso che non si tira indietro: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’”. Gesù, dunque, ci raggiunge là dove siamo. Questa, infatti, è la strategia propria dell’incarnazione (l’economia della salvezza), che non abbassa noi, ma fa sì che Lui per primo Si abbassi (la kenosi) per poterci raggiungere e sostenere fino in fondo. Come portandoci sulle Sue spalle. Per questo Gesù, stando ‘sotto’ quel sicomoro, “alzò lo sguardo”. Così, tra questi due sguardi – quello di Zaccheo paradossalmente dall’alto e quello di Gesù paradossalmente dal basso – avviene un incontro, dove persino le parole zittiscono, perché ormai sono gli occhi a brillare.

Ed è infine decisivo saper sostare proprio là dove Gesù ha raggiunto Zaccheo, volendo entrare da lui, nella sua casa: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Dio ci raggiunge sulla strada che stiamo percorrendo perché desidera entrare nell’intimità della nostra casa. Senza farSi problemi, consapevole che quella è la casa di un pubblico peccatore. Non ci sono moralismi religiosi che Lo possano trattenere in qualche modo. La Sua è una decisione precisa e chiara: “oggi devo fermarmi a casa tua”. Così come poco prima aveva guarito il servo di quel Centurione che, con dolce insistenza, l’aveva pregato dicendo: “perciò non mi sono neppure ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito” (Lc 7,7).

Non è stato commentato tutto l’episodio dell’incontro di Gesù con Zaccheo. Ma è stato decisivo evidenziare gli elementi fondamentali della ricerca che Zaccheo compie nei confronti di Gesù e che Gesù mette in atto per farSi raggiungere da Zaccheo. Per saperLo accogliere come lui: “In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”, senza preoccuparci del fatto che ci sarà sempre qualcuno che si permetterà di notare, mormorando, che ancora una volta Gesù “è andato ad alloggiare da un peccatore!”. Conta piuttosto il risultato concreto e alto di questa visita singolare, consegnato nella dichiarazione di Zaccheo e nelle parole conclusive di Gesù: “Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto’. Gesù gli rispose: ‘Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo; il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto’”.
Come è bello sentirci, di domenica in domenica, oggetto di una strategia divina che ci viene a cercare per amore, così come Gesù ha cercato Zaccheo, fin dentro la sua casa. Perché “il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cecare e a salvare ciò che era peduto”.
Che la Sua pace vi raggiunga ancora e raggiunga tutti. Buona domenica.