venerdì 28 settembre 2007

XXVI Domenica del Tempo Ordinario

Lazzaro ed il ricco Epulone, illustrazione dall'Evangeliario di Echternach.

Pannello superiore: Lazzaro alla porta dell'uomo ricco; Pannello centrale: L'anima di Lazzaro è trasportata in Paradiso da due angeli; Lazzaro nel petto di Abramo. Pannello inferiore: L'anima del ricco è trasportata da due diavoli all'inferno; il ricco è torturato nell'inferno.

Luca 16,19-31: [14]I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui. [15]Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio. [16]La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi. [17]E' più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge. [18]Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio. [19]C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. [20]Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, [21]bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. [22]Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. [23]Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. [24]Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. [25]Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. [26]Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. [27]E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, [28]perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. [29]Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. [30]E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. [31]Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi.

Cari amici e care amiche,

domenica 30 settembre ricorre la XXVI del Tempo Ordinario. Ancora Luca ci presenta una famosa parabola di Gesù (16,19-31). Cambiano però gli ascoltatori. Se le parabole del ‘Padre misericordioso’, della ‘pecorella smarrita’, della ‘dramma perduta’, erano rivolte ai pubblicani e ai peccatori (15,1) e quella dell’‘amministratore disonesto’ ai Suoi discepoli (16,1), quella del ‘ricco epulone’, è per i farisei, che essendo molto “attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose” beffandosi di Lui (15,14).

Ecco, dunque, la storia di “un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente”. Come se la ricchezza gli ovattasse il cuore e gli bendasse gli occhi, mentre porpora e bisso diventano delle pesanti tute protettive che ottundono i sentimenti del cuore e un corretto uso dell’intelligenza. Dio, invece, “da ricco che era si fece povero” (2 Cor 8,9), al punto che, “pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,6-8). In questa sta il senso ultimo della Sua misericordia.

Di contro al ricco c’è “un mendicante di nome Lazzaro (‘Dio aiuta’)”, che “giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe”. Così accovacciato alla porta del ricco, ci riporta subito a Gesù, che già Si è definito “la porta” (Gv 10,7) o che, stando alla porta, continua a bussare (Ap 3,20), “bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco”. In questo modo la fame di Dio s’intreccia – e s’intreccerà ancora e sempre – con quella dei poveri di tutti i tempi. Infatti, “i poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12,8).

Lazzaro si accontenterebbe del superfluo del ricco, ma questi non gi aprirà mai. Danze, cibo e piaceri copriranno inesorabilmente – qui già si preannuncia l’inferno – i lamenti di Lazzaro. La grande questione della povertà, anche ai nostri giorni, non sta anzitutto nel cercare di sanarla, ma nell’accorgersene obiettivamente. Qui sta l’inizio della misericordia che il ricco non sa neppure avviare. Proprio questo non è scontato, soprattutto nella nostra cultura impastata di indifferenza e relativismo. Senza questo presupposto non è dato, neppure ai credenti, di saper declinare correttamente il tema fondamentale della povertà in senso evangelico: “beati voi che siete poveri perché il regno di Dio è vostro” (Lc 6,20).

Punto decisivo dell’intero racconto diventa così l’esperienza della morte: “Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto”. La morte riconduce tutti sullo stesso piano esistenziale. Perché si dà per tutti, ricchi e poveri. Così scatta una nuova partenza, è il ‘dopo morte’ che avvia la differenza che conta: il povero (neppure si parla di una sua sepoltura) viene portato subito in alto, nel seno di Abramo, ‘Padre della fede’; il ricco, dopo essere stato gettato ‘sotto terra’, vi rimane, sprofondando nell’ inferno.

La distanza tra il ricco e Lazzaro, che sta in Abramo “come un bambino in braccio a sua madre” (sl 131), si misura pertanto a partire da Colui che è “prima che Abramo fosse” (Gv 8,58). Che Si è spossessato di Sé per venirci incontro, sino a perderSi in noi. FacendoSi uno con noi. E’ davanti a Lui (Mt 25,31) che si conferma la beatitudine propria di chi ha saputo saziare l’affamato (Mt 25,35) e la maledizione di chi, pur vedendoLo, Gli ha girato le spalle (Mt 25,42). Se solo il nostro Dio ha colmato questo abisso morendo per noi, non riconoscere il valore teologico di questa operazione vitale – cioè proprio dell’azione stessa di Dio che più Lo qualifica e Lo definisce – condanna chiunque a una morte che fa precipitare nell’inferno.

In questo senso il dialogo che segue (16,23-31) tra il ricco e Abramo è, piuttosto, esplicativo di un dato di fatto che merita ancora qualche considerazione. In cosa consiste, infatti, propriamente l’inferno? Nell’ incosciente distanza del ricco dalla condizione esistenziale nella quale si è trovato Lazzaro, quando ancora si trovava accovacciato alla sua porta. Proprio questo atteggiamento di fondo, nella sua persistenza esistenziale, diventa così una vera e propria premessa dell’abissale distanza nella quale il ricco si viene a trovare rispetto a Lazzaro che è adagiato appunto nel seno stesso di Abramo. Cioè nel cuore stesso della nostra fede. Non aver accolto di entrare nella consolazione di Dio, trovandosi davanti alla povertà esistenziale degli uomini preclude, infatti, inesorabilmente la possibilità di accedere alla consolazione propria che ci proviene dal cuore stesso di Dio. Diventa così chiaro e più esplicito il passo che afferma: “se uno dice: ‘Io amo Dio’, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto” (1 Gv 4,20).

Certo, non c’è distanza che la misericordia di Dio non sappia e non voglia colmare, ma ciò che colpisce è una sorta di vera e propria persistente caparbia nei confronti della misericordia, quando il ricco, stando ormai nei tormenti dell’inferno, non ha alcuna espressione per Lazzaro, ma si dimostra preoccupato della sua arsura o dei suoi fratelli. Per loro prova un senso di apprensione, forse anche di solidarietà, che pure non raggiunge neppure la soglia della misericordia. Non è la morale che ci salva. Neppure il miracolismo di un morto che possa ancora esortare qualcuno al ravvedimento. “Hanno Mosè e i Profeti, ascoltino loro”. Infatti, “la parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12).

Ci è chiesto, anche in questa domenica, di imparare a stare, con schiettezza e verità, davanti a quella precisa Parola che il Signore ci vorrà ancora donare, nella Sua infinita misericordia.

Buona domenica a tutti.

don Walter Magni

2 commenti:

Anonimo ha detto...

CARI amici veramente mi tocca il cuore la lettura di questo vangelo.
Mi insegna a capire quali sono le cose più importanti nella vita: le relazioni umane.
Lo stare con l'altro riempie il mio cuore di gioia e non ho bisogno di denaro o beni materiali per essere felice.
I soldi hanno la loro importanza, ma non devono renderci schiavi! Il lavoro deve essere svolto come un servizio all'altro e non come strumento di solo guadagno; il valutare le altre persone non per ciò che si vantano di possedere ma per come sono!
Gesù mi aiuta ad affinare il mio sguardo; a vedere i molti poveri, italiani e non che affollano le nostre città; la non accoglienza che spesso viene mostrata di
fronte al diverso da noi( mi riferisco ai musulmani verso cui c'è spesso un accanimento ingiusto e verso i rom le cui ricchezze culturali vengono spesso dimenticate!).
I poveri mi insegnano a spogliarmi di ogni vanità, sete di farmi un nome e mi conducono ad indossare i panni di un bambino bisognoso d'amore che solo affidandosi nelle braccia del Padre ottiene nutrimento d'affetto !
L'essere in comunione con l'altro in nome del Padre mi spinge poi ad abbracciare i gesti eroici didei monaci buddisti in Birmania, che come i primi martiri cristiani preferiscono la non violenza come strumento del bene invece che le solite guerre preventive e operazioni militari per liberare ostaggi!Alberto Mori

Anonimo ha detto...

Il monito finale della parabola per mezzo di Abramo: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non crederanno neppure se uno risuscitasse dai morti”. Si è realizzata poco dopo con il ritorno dai morti di Lazzaro amico di Gesù, anzi non solo in gran parte non gli crederanno, ma per questo condanneranno Gesù a morte, che poi risusciterà... una profezia che si ripresenta nella storia. Un tipico processo ricorsivo, speculare, qui rafforzato dallo stesso nome di Lazzaro per i due protagonisti del vangelo, caratteristico del Vangelo, dell'intelligenza e del genio nella storia. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo.