domenica 16 settembre 2007

XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Giorgio De Chirico, Il figliol prodigo (1922, Museo d'Arte Contemporanea, Milano)

Luca 15-1-32: [1]Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. [2]I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». [3]Allora egli disse loro questa parabola: [4]«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? [5]Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, [6]va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. [7]Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. [8]O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? [9]E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. [10]Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». [11]Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. [12]Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. [13]Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. [14]Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. [15]Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. [16]Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. [17]Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! [18]Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; [19]non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. [20]Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. [21]Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. [22]Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. [23]Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, [24]perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. [25]Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; [26]chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. [27]Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. [28]Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. [29]Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. [30]Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. [31]Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; [32]ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».


Cari amici e care amiche,

domenica 16 settembre 2007 si celebra la XXIV del tempo ordinario. Sarà letto il brano evangelico di Luca 15,1-32. Gli interlocutori di Gesù sono molto diversi: “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: ‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro’. Allora egli disse loro questa parabola”. Tanto “i pubblicani e i peccatori” intendono “ascoltarlo” quanto “i farisei e gli scribi mormoravano”. E Gesù, per nulla intimorito, decide di raccontare “loro questa parabola”. La Sua parola è per tutti, ma solo un animo ben disposto può esprimere un ascolto vero.
Per un verso, potremmo lasciarci attrarre dalle immagini dei Suoi racconti – il pastore attento premuroso, la donna di casa accorta e un padre buono –; per un altro, scavando ulteriormente, ci imbattiamo in alcune azioni verbali che ricompaiono continuamente come un ritornello: qualcosa o qualcuno che si perde, qualcuno che si mette a cercare e che infine trova con grande gioia.

L’immagine del pastore ci riporta facilmente a Gesù ‘Buon Pastore’ (il pastore addirittura ‘bello’ del cap. 10 di Gv), anche se, in questo caso, Gesù sembra coinvolgerci più direttamente: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?”.
La donna di casa ci potrebbe persino riportare a Marta di Betania, così attiva e pronta da non accorgersi della ricchezza che la sorella Maria aveva già trovato (Lc 10,40-41): “O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova?”.
Di tutt’altro genere è la figura del padre dei due figli. Quando, infatti, Gesù parla di paternità non ha tanto dei riferimenti umani ed esistenziali cui riferirsi, ma sembra attingere a un’esperienza più profonda e decisiva. Quasi che la capacità immaginativa cedesse il passo alla realtà stessa del Padre Suo e al rapporto con Lui. Come se il volto misericordioso di Dio non sopportasse un livello più immaginativo e allusivo. Solo il Figlio, infatti, può rivelarci appieno il Padre: “Ogni cosa mi è stata data in mano dal Padre mio; e nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio, e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo” (Mt 11,27).

Qui avviene un passaggio che merita evidenziare. Non è tanto la nostra esperienza umana della paternità che può alludere descrittivamente ad alcuni tratti del volto di Dio, ma è vero il contrario. Un padre che dovesse agire come quello descritto da Gesù nella parabola non meriterebbe approvazione. Non è gran merito lasciare che il figlio minore se ne vada di casa, portandosi via mezza eredità, senza neppure una giustificazione. Riaccogliendolo ancora, dopo che aveva scialacquato tutto. Senza un minimo rimprovero. Qui piuttosto ci è chiesto un salto nel cuore stesso di Gesù, accogliendo quanto ci sta dicendo proprio come parola ‘di Dio’. Come ci stesse dicendo proprio Dio, la Sua stessa paternità. Forse Gesù stava semplicemente commentando un famoso passo del libro dell’Esodo – del resto ripreso poi criticamente anche da Giona profeta 4,2 – nel quale Dio stesso, parlando a Mosè, dice d’essere “il Signore! Il Signore! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà” (Es 34,6).

Per meglio comprendere i tratti di questa singolare misericordia, ci vengono così in aiuto alcune azioni verbali che ritornano puntualmente in tutti e tre i racconti ascoltati.
La prima esperienza esistenziale che ci introduce a comprendere la misericordia di Dio è quella dello smarrimento: una pecora che si perde nella boscaglia, una dramma che finisce chissà sotto quale mobile, un figlio che se ne va dalla casa paterna, magari sbattendo la porta. Se non ci esercitiamo a ripartire dall’esperienza esistenziale dello smarrimento, c’è davvero il rischio che la misericordia di Dio venga confusa con un ingenuo buonismo e, per questo, inevitabilmente disattesa. In questo senso Gesù, parlando a Simone il Fariseo della peccatrice, scorge proprio in lei una particolare predisposizione a questa misericordia, affermando che “i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama” (Lc 7,47).

La seconda azione verbale è la ricerca a oltranza che solo Dio sa mettere in atto in rapporto non solo genericamente all’uomo, ma specificamente al peccatore. Forse sarà sempre difficile determinare le ragioni della perdita. Ma resta il fatto che il pastore non si darà mia pace finché non ritrovi una pecorella; come la donna la sua moneta e come questo padre che non si stancherà di stare ad aspettare, fino a quando anche solo la sagoma del figlio si profili all’orizzonte.

Ma decisiva, per riuscire a cogliere la misericordia dalla parte stessa di Dio, è proprio l’ultima azione. Se, infatti, è Dio che ci cerca, allora certamente sarà Lui a ritrovarci, provando una gioia indicibile. Come il pastore che “va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta”; o la donna che, “dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”. Il padre misericordioso, preso da una gioia incontenibile, se non è detto che sia stato davvero ben compreso dal figlio minore, il prodigo, neppure sarà compreso dal figlio maggiore, al quale dirà che “bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Che la gioia che tutti noi sperimentiamo, partecipando all’eucaristia domenicale, sia sempre più radicata nella gioia che Dio stesso prova nel vederci a tavola con Suo Figlio.
Che sia una buona domenica per tutti.

don Walter Magni

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