giovedì 28 giugno 2007

XIII Domenica del Tempo Ordinario - 1 luglio 2007

Eugène Burnand, Pietro e Giovanni corrono al Sepolcro vuoto

Luca 9,51-62: [51]Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme [52]e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. [53]Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. [54]Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». [55]Ma Gesù si voltò e li rimproverò. [56]E si avviarono verso un altro villaggio. [57]Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». [58]Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». [59]A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». [60]Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio». [61]Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». [62]Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Cari amici e care amiche,

con domenica prossima (XIIIa del Tempo Ordinario, 1 luglio 2007) sarà proposto l’ascolto di un brano evangelico (Lc 9,51-62) fortemente caratterizzato dall’esperienza di Gesù che Si dirige “decisamente verso Gerusalemme” (9,51). Preceduto e seguito da un gruppo di giovani discepoli a loro volta profondamente coinvolti nella medesima tensione del loro Maestro: “mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono” (Lc 9,52).

Il viaggio di Gesù [1]

Ma il gusto del viaggio non è solo un tratto della Sua personalità, che Gli deriva dall’essere figlio del nomade Abramo o dall’esperienza dell’Esodo, che tanto ha segnato il popolo di Israele. Importa, piuttosto, scavare in questa Sua profonda ansia di viaggiatore instancabile e determinato. Tanto che Luca introduce l’episodio notando che “stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo” (9,51a). Se questo, infatti, spiega chiaramente l’urgenza di Gesù che proprio sulla croce dirà “(Tutto) è compiuto” (Gv 19,30), di questa circostanza, letteralmente si dice che “indurì i tratti del suo volto per prendere la strada verso Gerusalemme” (9,51b) .
Gesù non sta semplicemente andando a Gerusalemme, mètà religiosa di ogni ebreo praticante (“il santo viaggio”, sl 83,6). Si sta piuttosto definendo per Lui, giungendo a Gerusalemme, il senso di un’esistenza totalmente rivolta al Padre. Gerusalemme, infatti. è il luogo del compimento ultimo della volontà del Padre Suo. Volontà che l’aveva continuamente nutrito (“mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato, e compiere l’opera sua”, Gv 4,34) e alla quale S’era riferito per tutta la sua vita (“faccio sempre le cose che gli piacciono”, Gv 8,39).
Un’esperienza spirituale, un viaggio così intenso di relazione col Padre Suo (persino ‘dentro’ il Padre Suo: “Io e il Padre siamo uno”, Gv 10,30), che Gesù aveva cominciato a vedere con lucidità già a dodici anni, in occasione del Suo primo viaggio al Tempio di Gerusalemme. Tanto che, rispondendo a Sua madre che l’aveva interpellato seriamente, dirà: “Perchè mi cercavate? Non sapevate che io mi devo occupare di quanto riguarda il Padre mio?” (Lc 2,39).

La sequela di Gesù

C’è, dunque, un primo fondamentale passaggio che Gesù chiede a chi decide di seguirLo: imparare ad andare là dove Lui sta andando. Cioè ‘In’ Colui che Lui stesso sta già follemente seguendo per amore. Non comprendere la presenza del Padre Suo nei continui movimenti e spostamenti di Gesù – “se ne andava per città e villaggi, predicando e annunziando la buona notizia del regno di Dio” (Lc 8,1) –, potrebbe diventare, anche per i Suoi discepoli, motivo di profonda incomprensione e anche di inevitabili fraintendimenti del Suo stesso messaggio.
Per questo il resto del brano di Luca prosegue con un episodio che vede al centro l’azione e la discussione conseguente con alcuni discepoli (9,52-56), e, nella seconda parte, l’elenco di alcune domande di ammissione alla Sua sequela da parte di tre giovani aspiranti (9,57-62).
Dunque, anzitutto Gesù “mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme” (Lc 9, 52-54). Certo, la mèta che Gesù Si prefigge non sembra ammettere indugi per nessuno. Ma il seguito apre una breccia sulla singolare linea pedagogica del Maestro Gesù. Infatti “Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: ‘Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?’” . Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio” (Lc 9,55-56).
Da una parte c’è tutta l’irruenza e la passionalità giovanile di Giacomo e Giovanni, ma, dall’altra, si impone la saggia e netta decisione di Gesù che, mentre non indugia in inutili discussioni, soprattutto è consapevole che ben altra è la volontà del Padre Suo. Soprattutto nei confronti di chi non Lo comprende e addirittura sembrerebbe rifiutarLo apertamente.

Gesù e i Suoi giovani discepoli

Giovane però era anzitutto Gesù. Non potremmo capirLo davvero se non cogliessimo in Lui una sana e trasparente passione. Che Lo portava a intraprendere, da innamorato com’era del Padre Suo, un viaggio verso Gerusalemme così lungo e complesso. Perché il Padre era il Suo ideale, il suo ‘idolo’, il senso, il vessillo che avvolgeva tutta la Sua esistenza: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei davvero che fosse già acceso!” (Lc 12,49).
Se Gesù non fosse stato preso proprio da questa ‘follia’, molti giovani non l’avrebbero mai riconosciuto. Questa Sua straordinaria insofferenza nei confronti di ogni meschinità, pronto anche a slanci audaci, ha permesso a Gesù di guardava con grande simpatia ai giovani. Ma anche a molti giovani di saper guardare a Lui con profondo affetto e disponibilità senza misura.
Dunque proprio in forza di questa carica spirituale (folle per alcuni, forse troppo vecchi per poterLo capire quando dicevano: “è fuori di sé”, Mc 3,21), alcuni giovani – che Lo avevano a lungo ‘studiato’ – decidono di seguirLo: “Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: ‘Ti seguirò dovunque tu vada’. Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo. A un altro disse: ‘Seguimi’. E costui rispose: ‘Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre’. Gesù replicò: ‘Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio’. Un altro disse: ‘Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa’. Ma Gesù gli rispose: ‘Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio’” (Lc 9,57-62).

Molto ci sarebbe da dire a riguardo dell’immediatezza (ingenua), ma anche dell’incertezza, che avvolge questi sintetici e diretti dialoghi vocazionali con Gesù. La storia vocazionale di ciascuno – l’incontro personale con Lui che ancora ci invita a seguirLo, nei modi più diversi – resta consegnata a una intimità spirituale che nessuno potrà mai permettersi di violare. È in gioco la Sua libertà. Ma è in gioco anche la nostra.
Intanto, l’Eucaristia domenicale, continuerà ad essere il permanente e imprescindibile orizzonte entro il quale la Sua Parola ancora risuona e i tratti concreti del Suo corpo e del Suo sangue continuano a trasformare la nostra esistenza, esercitandoci nella sequela.
Buona domenica a tutti.

giovedì 21 giugno 2007

Domenica del Tempo Ordinario - 24 giugno 2007

Caravaggio, Emmaus (particolare)

Pantocrator, mosaico (Santa Sofia, Istanbul)

Luca 9,18-24: [18]Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». [19]Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». [20]Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». [21]Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. [22]«Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
[23]Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. [24]Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà.

Cari amici e care amiche,

con domenica siamo alla XIIa del Tempo Ordinario (24 giugno 2007). La redazione evangelica di questo nuovo episodio (Lc 9,18-24) nota che Gesù “si trovava in un luogo appartato a pregare” (9,18a). Luca è particolarmente attento al tema della preghiera. Ma Gesù non esce tanto rassicurato dal colloquio diretto col Padre Suo. Piuttosto è tutto preso da una precisa domanda: “Chi sono io secondo la gente?” (9,18b) e, subito dopo: “Ma voi chi dite che io sia?” (9,20a).

Un primo aspetto che introduce la nostra riflessione tocca un tema che sembra trovare buona considerazione anche nella riflessione teologica: che coscienza aveva Gesù di Se stesso? Prima della consapevolezza che noi, dopo i Suoi discepoli, abbiamo di Lui (coscienza oggettiva), ha senso chiederci anche quale coscienza Gesù potesse avere di Se stesso (coscienza soggettiva o genitiva).
Seppure questo tema possa darci l’impressione di inoltraci sul terreno minato del sospetto, quasi si dubitasse della certezza che Gesù doveva avere d’essere Figlio di Dio (coscienza teologica), non è questo il problema. Molto più interessante, piuttosto, è notare che anche Gesù è cresciuto umanamente nella coscienza della Sua identità teologica. Percorrendo lo stesso processo col quale un uomo raggiunge la sua personale maturità. Del resto, di Gesù dodicenne sempre Luca afferma che “cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini” (2,52). E che la coscienza che Gesù aveva di Sé in quel momento fosse coerente con la volontà del Padre Suo, lo rivela ancora Lui, replicando alla decisa risposta che Pietro Gli aveva dato (sei “il Cristo di Dio”): infatti “Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” (Lc 9,22).

Ma questo episodio evangelico ci introduce poi a saper passare dalle nostre domande ‘su’ Gesù a quelle che sono le vere domande ‘di’ Gesù. Questo delicato esercizio ci potrebbe aiutare a comprendere che, soprattutto dal punto di vista dell’intelligenza complessa dell’Occidente, Gesù è evangelicamente un singolare principio d’ordine in rapporto al nostro convulso e affannato domandare a Suo riguardo. Molte domande, che rispondono ad una curiosità intellettuale diffusa oggi nei Suoi confronti – interrogativi che scaturiscono spesso da rivisitazioni di carattere storico, letterario e persino cinematografico – troverebbero in Occidente una più precisa riqualificazione. Soprattutto molta più pace: “Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te” (Agostino, Confess. 1, 1, 1).
Si scopre così il valore e l’alto senso pedagogico col quale Gesù pone le Sue domande. Qualcuno le ha persino matematicamente e statisticamente contate: 61 nel Vangelo di Marco, 40 in quello di Matteo, 25 in Luca e 48 in Giovanni. Gesù, insomma, non Si impone mai ai Suoi in modo assertivo. Piuttosto ama interpellare la gente e, soprattutto in questo caso, interroga i Suoi, al fine di farli riflettere. Ascoltandoli e coinvolgendoli nei Suoi stessi pensieri e nei Suoi progetti più decisivi.

In questo senso il risultato che deriva dalle domande di Gesù – come anche dalle risposte dei Suoi discepoli – viene ad essere un vero e proprio itinerario che, se per un verso rivela le Sue convinzioni più profonde, per un altro ci fa percepire la coscienza progressiva che i Suoi discepoli cercavano di avere di Lui, dopo che a più riprese si domandavano: “e chi è dunque costui (…)?” (Mc 4,41). Come se dalle loro risposte si evidenziassero due percorsi possibili. Il primo, infatti, riporta i discepoli di Gesù, e anche noi, alla coscienza generica della gente: “Essi risposero: ‘Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto’” (Lc 9,19); il secondo, invece, sembrerebbe scaturire dalla coscienza, apparentemente più sicura di Pietro, che prendendo la parola a nome degli altri aveva risposto: “Il Cristo di Dio” (Lc 19,20b).
Cosa è significativo evidenziare a questo punto? Anzitutto il fatto che Gesù, a partire dalla relazione col Padre Suo (cioè nella preghiera sulla quale proprio Luca insiste), e dialogando coi Suoi, impara a rivelarSi agli uomini con maggiore determinazione; e, inoltre, che proprio la parola – nel fitto dialogo fatto di domande e risposte – è la dimensione ineliminabile umanamente attraverso la quale, anche Gesù Si è detto e pienamente rivelato alla coscienza degli uomini. Per questo, dunque, esorterà i Suoi, a conclusione dell’episodio, dicendo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Lc 9,23-24).

La celebrazione domenicale dell’Eucaristia è lo spazio concreto nel quale, è dato a tutti i credenti di continuare ad ascoltare la forza provocatoria delle domande di Gesù che interpreta e dice i desideri e le attese più grandi del cuore di Dio. Anzi, proprio Lui S’aspetta che Gli rispondiamo abbandonandoci e fidandoci del Suo gesto d’amore crocifisso. Non ci sarà in questo senso difficile rispondere. Buona domenica a tutti.
don Walter Magni

sabato 16 giugno 2007

XI Domenica del Tempo Ordinario - 17 giugno 2007

L’unzione a Betania. Miniatura ottoniana del X secolo. Biblioteca municipale di Treviri (Germania)

Luca 7,36-8,3: [36]Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. [37]Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; [38]e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. [39]A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». [40]Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». [41]«Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. [42]Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». [43]Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». [44]E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. [45]Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. [46]Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. [47]Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». [48]Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». [49]Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?». [50]Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!». [1]In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. [2]C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, [3]Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.


Cari amici e care amiche,

con domenica siamo all’XI domenica del tempo Ordinario (17 giugno 2007). Riprendiamo così il lungo itinerario di Gesù nel tempo e nello spazio quotidiano della storia degli uomini, con la proposta della lettura del Vangelo di Luca (anno C). Domenica sarà narrato l’episodio di una donna che, entrata nella casa di Simone il fariseo, si mette a lavare i piedi di Gesù (Lc 7,36-8,3).

Partiamo dal commento che sta al termine del racconto: “C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni; Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni” (Lc 8,2-3). Una nota riportata solo da Luca, che non trova riscontro negli altri Vangeli: oltre ai Dodici e agli altri discepoli, attorno a Gesù - “che se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio” (Lc 8,1) -, c’erano anche delle donne, delle discepole che “erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità” (8,2).
La ragione del loro discepolato, dunque, consisterebbe in una profonda esperienza di guarigione dal male non solo fisico/psichico (“infermità”), ma anche, e soprattutto, spirituale (“spiriti cattivi”).

Ecco, dunque, comparire una donna sulla soglia della casa di Simone “il lebbroso” ( secondo Mt 26,6 e di Mc 14,3). “Una peccatrice di quella città”, stando alla presentazione di Lc 7,37 e alle convinzioni del fariseo Simone (Lc 7,39). Perché tutti sanno del suo peccato. Ma Gesù non la distanzia con un sorrisetto ironico e beffardo, non la ghettizza neppure mentalmente. Senza prendere misure precauzionali, le permette di fare quello che il suo istinto affettivo le suggeriva da tempo, magari dopo aver superato pregiudizi pesanti: “venne con un vasetto di olio profumato; e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato” (Lc 7,37-38).
Siamo davanti a un gesto che segnerà l’esperienza pasquale di Gesù. Tanto che Luca narrerà più avanti di Maria di Betania, “la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola” (10,39); mentre Giovanni nota che, trovandoSi Gesù ancora a Betania nell’imminenza della Sua Pasqua, “Maria, presa una libbra d’olio profumato, di nardo puro, di gran valore, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli; e la casa fu piena del profumo dell’olio” (12,3).

L’amore e l’esigenza di perdono che un amore autentico comporta, non sono mai stati un gioco per nessuno. Dicono piuttosto il senso ultimo della presenza di Gesù tra noi. Il motivo della Sua venuta, la trama profonda della Sua rivelazione divina. Per questo Gesù decide di spiegare a Simone il lebbroso (cioè ‘peccatore’), il senso esatto e non equivoco di ciò che stava accadendo nella sua casa. ServendoSi della Sua didattica: gli racconta la parabola dei due debitori (7,41-42), corredandola di alcune osservazioni puntuali e provocatorie al fine di meglio enunciare la Sua tesi sull’importanza del perdono e sul suo significato: “‘Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco’. Poi disse a lei: ‘Ti sono perdonati i tuoi peccati’” (Lc 7,47-48), incurante di chi si scandalizza di queste Sue affermazioni.
In questo senso un perdono vero scaturisce da una relazione d’affetto profondo e singolare. Impastato sempre d’amore gratuito, senza calcoli. Se in questa donna presuppone la consapevolezza di un bisogno d’amore che solo Gesù sa ricolmare pienamente, da parte di Gesù comporta il desiderio, tipico di un Dio che è anzitutto amore, di donarSi. E la donna dimostra d’averlo compreso lavandoGli i piedi, in segno di venerazione e rispetto delicato e profondo.

E’ così che anche Gesù, il Figlio di Dio, impara l’amore e il perdono. Del resto, è legittimo chiedersi in che termini Maria, Sua Madre, avendoLo così maternamente amato, L’abbia istruito a declinare l’amore nei piccoli gesti di attenzione e di bontà che si possono insegnare a un bambino e a un ragazzo.
Si comprende così il gesto alto e solenne che anche Gesù compirà durante l’Ultima Cena, stando all’Evangelo di Giovanni: “si alzò da tavola, depose le sue vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse. Poi mise dell’acqua in una bacinella, e cominciò a lavare i piedi ai discepoli, e ad asciugarli con l’asciugatoio del quale era cinto”(Gv 13,4-5).
L’insegnamento di Gesù sull’amore si riassume dunque in un gesto che Lui stesso ripeterà dopo averlo imparato da una donna. Al punto che esorterà i Suoi a fare altrettanto: “Se dunque io, che sono il Signore e il Maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri” (Gv 13,14).

Il ripetersi settimanale dell’azione eucaristica non chiede altro che d’essere ripetuto, proprio per Suo esplicito comando: “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19).

Buona domenica a tutti.

Gesù lava i piedi ai discepoli. Icona etiope (Atelier del monastero di Bose).

giovedì 7 giugno 2007

SS. Corpo e Sangue di Cristo - 10 giugno 2007

Ultima cena, olio su tela di Ferruccio Terrazzi (Assisi, Museo Pro Civitate)

Luca 9,11-17: [11]Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure. [12]Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta». [13]Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». [14]C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta». [15]Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. [16]Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. [17]Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.

Cari amici e care amiche,

domenica prossima si celebra nelle nostre chiese la Solennità del Santissimo Corpo e Sangue del Signore (10 giugno 2007). Perché una celebrazione di questo genere? Se i cristiani, celebrando di domenica in domenica l’Eucaristia, contemplano già la presenza reale in mezzo a loro del Corpo risorto del Signore, con la festa del Corpus Domini sembrano voler focalizzare ancora più esplicitamente il loro sguardo sul Suo corpo.
Anche l’apostolo Tommaso desiderava qualcosa di simile, in occasione della seconda apparizione del Risorto “otto giorno dopo”, pretendendo di vedere proprio nelle Sue mani il segno dei chiodi, mettere il dito nel segno dei chiodi e addirittura la mano nel Suo fianco (Gv 20,24-25).

In questo senso merita riandare a quanto Gesù stesso, nelle liturgie del Tempo di Pasqua, diceva ai Suoi, a riguardo del Suo corpo risorto. E’ Lui, infatti, che per raggiungerli non esita ad attraversare le porte sbarrate del luogo dove essi si trovavano impauriti: “mostrò loro le mani e il costato. I discepoli dunque, veduto il Signore, si rallegrarono” (Gv 20,20). Un corpo pieno di vita e di iniziativa, tanto da affiancare,“la sera di quello steso giorno”, due discepoli che se ne andavano delusi da Gerusalemme, pur di farSi riconoscere da loro. Ed “essi pure raccontarono le cose avvenute loro per la via, e come era stato da loro riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24,35). Infine, stando a Giovanni, Gesù compare – in carne ed ossa, diremmo noi – anche a un gruppo di sette discepoli, che, delusi, erano tornati a pescare sulle rive del lago di Genezaret. Riconosciuta la Sua voce il discepolo amato grida: “è il Signore”, mentre Lui, stando a riva, prepara per i Suoi del pesce fritto e del pane abbrustolito, invitandoli a mangiare: “Venite a mangiare” (Gv 21,12) .
E’ necessario, dunque, addentrarci nella descrizione delle fattezze spirituali del corpo di Gesù risorto per comprendere il senso singolare della celebrazione della solennità del “Santissimo Corpo e Sangue di Cristo”, come recita propriamente il titolo di questa liturgia.

Ma, volendo rispondere ad alcune pretese, tipiche del sentire Occidentale, è bene prendere atto di alcune obiezioni nei confronti del Corpo e Sangue del Signore. In particolare, una interpretazione fisicistica dell’Eucaristia del Signore ci ha abituati a interpretare la consacrazione come fosse anzitutto una trasformazione delle specie del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue del Signore.
E’ decisivo piuttosto, stando alle indicazioni evangeliche, prendere atto, all’interno della stessa celebrazione domenicale, che la presenza di Gesù col Suo corpo risorto è frutto che scaturisce dal cuore amante di Dio. E’ Lui che vuole farSi presente. Mentre da parte nostra, in obbedienza a quanto già aveva chiesto ai Suoi di ripetere in Sua memoria – “Poi prese del pane, rese grazie e lo ruppe, e lo diede loro dicendo: ‘Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me’. Allo stesso modo, dopo aver cenato, diede loro il calice dicendo: ‘Questo calice è il nuovo patto nel mio sangue, che è versato per voi.’” (Lc 22,19-20) –, resta l’urgenza della testimonianza.

Non viene vanificata l’attenzione della tradizione cristiana al fatto che pane e vino, una volta consacrati, in forza dello Spirito Santo, diventano segno efficace (sacramentale) della Sua presenza tra noi. Piuttosto ci si orienta, dopo aver riconosciuto e adorato la Sua inestimabile presenza, a saper stare al Suo comando di testimoniarLo al mondo: “fate questo in memoria di me”.
Il grande esercizio, richiesto da sempre ai discepoli del Signore, non è anzitutto disquisire sulla trasformazione di qualcosa (pane e vino) in Qualcuno (Gesù risorto), ma di riconoscere la Sua presenza per testimoniarne la memoria. In questo senso è significativo riprendere la lettura chiaramente eucaristica dell’episodio della lavanda dei piedi: “Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese il suo mantello, si rimise a sedere e disse loro: ‘Capite che cosa vi ho fatto?’ Voi mi chiamate maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come io ho fatto a voi.’” (Gv 13,12-15).

Così si comprende meglio la pericope evangelica che sarà proclamata domenica prossima, che ci riferisce uno dei diversi miracoli di moltiplicazione del pane. Mentre il giorno stava per finire, i Dodici chiedono a Gesù di congedare la folla, perché potesse recarsi nei villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo, ma Gesù disse loro: “Dategli voi stessi da mangiare” (Lc 9,13). Perché è decisivo, per chiunque ha la grazia di partecipare all’Eucaristia, cioè al dono che Dio fa di Sé per amore, fare come Lui ha insegnato. Amando come Lui ha amato. Avendoci dato Se stesso da mangiare – questo ancora sconcerta –, allora: “dategli voi stessi da mangiare”.
In questo senso il miracolo della moltiplicazione del pane continuerà ad essere ripetuto nelle nostre chiese e ancora Gesù potrà raggiungere la nostra fame d’amore. Desiderosi di poterci nutrire ancora di un pane che viene dal cielo: “Io sono il pane vivente, che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno; e il pane che io darò è la mia carne, [che darò] per la vita del mondo” (Gv 6,51). Distribuire questo pane diventa così l’operazione eucaristica per eccellenza: “egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste” (Lc 9,16-17).

Come se il dinamismo proprio dell’Eucaristia fosse totalmente racchiuso in due gesti coi quali la tradizione cristiana ha educato a lungo i credenti: l’adorazione e la processione eucaristica. Se, da una parte, la Sua presenza va adorata in modo permanente nella Chiesa, dall’altra, la Sua stessa presenza chiede d’essere portata ancora per le vie delle nostre città, dentro le case della gente, intuendo, di volta in volta, le modalità più adatte per continuare ad obbedire al Suo comando: “Fate questo in memoria di me”.
Non stanchiamoci di celebrare l’Eucaristia del Signore nelle nostre chiese, superando una adorazione troppo statica del Suo Corpo e del Suo Sangue. L’amore di Dio, che con sovrabbondanza è stato riversato nei nostri cuori (Rm 5,5), raggiunga ancora tutti coloro che l’attendono, infondendo a tutti il sapore della speranza.

Che sia una buona domenica per tutti.
don Walter Magni