giovedì 11 ottobre 2007

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario

Jean Michel Folon

Luca 17,11-19: [11]Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. [12]Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, [13]alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». [14]Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. [15]Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; [16]e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. [17]Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? [18]Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: [19]«Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Cari amici e care amiche,

domenica prossima (XXVIII del Tempo Ordinario, 14 ottobre 2007) il Vangelo di Luca (17,11-19) riferisce l’episodio della guarigione di dieci lebbrosi da parte di Gesù che sta per affrontare la terza tappa della Sua salita a Gerusalemme: “in viaggio verso Gerusalemme”, anche se una traduzione più precisa direbbe: “e avvenne nell’andare a Gerusalemme”.

Nel viaggio, stando alla geografia descrittaci da Luca, Gesù attraversa ‘prima’ la Samaria, terra dell’infedeltà e dell’adorazione di un Dio che gli stessi samaritani non conoscono secondo Gesù (Gv 4,22), e ‘poi’ la Galilea, regione dove ha vissuto una trentina d’anni, tanto da essere chiamato “il Galileo” (Mt 26,69). Siamo davanti a un percorso singolare, trovandosi Gerusalemme in Giudea e la Samaria tra la Giudea e la Galilea. La ragione per la quale “Gesù attraversò (prima) la Samaria e (poi) la Galilea” è, dunque, da ravvisare nel primato dato all’annuncio della misericordia di Dio non secondo la ricerca della strada più comoda e lineare, ma secondo l’intenzione costante di Gesù di lasciarSi condurre nella complessità delle relazioni umane: “ed egli disse loro: ‘Andiamo altrove, per i villaggi vicini, affinché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto’” (Mc 1,38).

Decide, dunque, di entrare “in un villaggio”, mentre “gli vennero incontro dieci lebbrosi” che, stando alla Legge, si fermano “a distanza”, restando comunque – sempre secondo la Legge – fuori dal villaggio. Anche se – stando al Vangelo di Luca – un altro lebbroso s’era già buttato ai Suoi piedi, osando persino toccarLo (5,13), nonostante il contatto con una persona affetta da tale malattia fosse considerato pericolosamente contagioso.
La Legge viene, invece, infranta dalla voce di questi lebbrosi che non dovrebbero neppure interpellarLo. Infatti, essi, vedendo Gesù, “alzarono la voce, dicendo: ‘Gesù maestro, abbi pietà di noi!’”. Se Gesù – in ragione del nome – è “Dio (che) salva” (= Gesù, Jeshoua) – tanto che solo in Luca i malati e i peccatori osano invocarLo servendosi del Suo nome: 18,38 e 23,42 –, tuttavia Egli resta comunque un “maestro”, dotato cioè di forza e di sapere, capace per questo di trasmettere loro una salute – non ancora una salvezza – desiderata: “Abbi pietà di noi!”.

Non viene descritto un particolare e meticoloso rituale di guarigione. E’ come se a Gesù stesse a cuore ben altro: “appena li vide, Gesù disse loro ‘andate e presentatevi ai sacerdoti’”. Mettendoli immediatamente davanti alla responsabilità che la Legge prescrive a tutti coloro che guarivano da una tale malattia (Lc 14,2). Piuttosto è interessante notare che in questo modo Gesù chiede loro di precederLo proprio sulla strada che conduce a Gerusalemme. Proprio là dove Lui stesso Si sta definitivamente recando.
In questo senso Gesù diventa per tutti loro l’interpretazione autentica della Legge. Una rilettura della Legge a un tempo innovativa dal punto di vista esegetico e, al contempo, pure trasparente e luminosa per la ragione evidente della salute riacquistata con tale immediatezza. Se, per un verso, sono proprio questi lebbrosi che, presi dalla disperazione, trasgrediscono la Legge, per un altro è Gesù stesso che li introduce in questa prospettiva, invitandoli a saper cogliere la verità definitiva che proprio Lui finisce per rappresentare. Come se Gesù stesso fosse la Legge nuova, che, facendo loro sperimentare il passaggio dalla malattia alla salute, aprisse loro la strada a una più profonda salvezza. Come? Chiedendo a ciascuno di loro di fidarsi anzitutto di Lui e della Sua Parola. Il segreto dell’amore, infatti, sta propriamente nell’affidamento: “Maestro, tutta la notte ci siamo affaticati, e non abbiamo preso nulla; però, secondo la tua parola, getterò le reti” (Lc 5,5).

Fidandosi di Lui, i lebbrosi guariti se ne vanno spediti a Gerusalemme, mentre qualcosa comincia a realizzarsi davvero: “E mentre essi andavano furono sanati”. E’ dunque l’obbedienza a Lui che li salva, nella misura in cui, sulla Sua Parola, accettano di andare oltre e altrove. E, se pure sono stati guariti, resta per ciascuno di loro il compito di comprendere meglio ciò che è avvenuto, raggiungendo il segno nel suo più profondo significato e valore. Conta, infatti, anzitutto riconoscersi peccatori, profondamente bisognosi di Lui e della Sua misericordia: “Non i sani hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori” (Mc 2,17).

Scatta dunque l’ora della verità. Ci si poteva fermare, da parte di questi lebbrosi guariti, alla semplice constatazione della guarigione avvenuta oppure avviare, in termini di ringraziamento, una relazione capace di aprire davvero al senso profondo e singolare della fede. Ma solo uno si avvierà per questa strada: “uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro”. Dallo sguardo dato solo ai propri bisogni siamo, infatti, tutti chiamati ad accogliere il dono e il valore di una relazione, dove l’amore diventa lode e ringraziamento: “lodando Dio a gran voce”. Una lode che diventa persino adorazione: “e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo”.

Lodare Dio, gettandosi “ai piedi di Gesù”, è per quest’uomo un vero e proprio culto eucaristico – di ringraziamento – di Dio. A questo punto l’Evangelista nota: “era un Samaritano”. Perché, come afferma Gesù nel contesto dell’incontro con una donna samaritana: “è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre (…). E’ giunto il momento (…) in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,21.23). E Gesù si meraviglia dell’incapacità di gratuità che caratterizza gli altri nove: “Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”.

Il senso ultimo dell’esistenza non si esaurisce in una trama di leggi da osservare scrupolosamente, ma, a partire da Gesù, nostro Salvatore, sta in una relazione d’amore con Lui. Proprio come Lui, per primo, ci ha insegnato. E proprio questo ancora una volta ci ripete la domenica, al termine della celebrazione eucaristica: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”. Ci si rialza per risorgere con Lui, al fine di andarsene davvero liberi e salvati per il mondo, mentre altri – gli altri nove, appunto – continuano ad aggirarsi tra gli ambulatori dei nostri templi della salute, pur di ottenere, a qualsiasi costo, un certificato che ci assicuri chissà quale guarigione.

Che sia una buona domenica per tutti.

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