domenica 13 gennaio 2008

Battesimo del Signore

Battesimo di Gesù, icona


Matteo 3,13-17: [13]Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. [14]Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». [15]Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. [16]Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. [17]Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».


Cari amici e care amiche,

Domenica prossima (13 gennaio 2008) celebreremo la Festa del Battesimo del Signore. Sarà proposta la versione di Matteo del racconto del Battesimo di Gesù (3,13-17). Già col primo versetto è come se Gesù comparisse di colpo là dove gli uomini vivono, soffrono, amano e si pentono dei loro peccati: “Gesù dalla Galilea andò (compare) al Giordano”.
Perché proprio questa esigenza di andare fino al Giordano? Che peccati poteva aver commesso Gesù? Se molta gente si recava da Giovanni per scrollarsi di dosso un profondo senso di peccato, Gesù va al Giordano piuttosto per prenderSi sulle spalle tutto il peccato degli uomini. Come anche Giovanni Battista aveva intuito, mentre Gesù veniva verso di lui: “Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo!” (Gv 1,29). Per questo il Battesimo del Signore diventa l’epifania stessa dell’incanazione di Dio. Come diventasse per Dio stesso decisivo attraversare l’esperienza penitenziale del battesimo di Giovanni per poterSi manifestare al meglio.

Siamo anzitutto in presenza di un vero e proprio innesto (o immersione) del battesimo di Gesù in quello del Battista. Tanto che anche Giovanni Battista si mette a discutere con Lui, essendo figlio di una spiritualità che poteva accettare la liberazione da parte di Dio, ma non così esplicitamente la Sua incarnazione: “Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: ‘Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?’”.
Se, per un verso, viene riconosciuta la superiorità di Gesù, per un altro, il Battista ignora che il battesimo di Gesù consiste proprio nell’essere pure Lui battezzato, immerso cioè totalmente nella nostra stessa realtà umana. Fatta anche di debolezza e di peccato. Infatti: “vi è un battesimo del quale devo essere battezzato; e sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,50). Per questo “Gesù gli disse: ‘Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia’”. Così “Giovanni acconsentì”. A questo punto si comprende, dunque, perché Dio, che ha creato l’uomo senza il suo apporto, non può salvarci senza il nostro consenso (S. Agostino).

Ed ecco però che all’immersione succede l’emersione: cioè la Sua definita rivelazione. Gesù, infatti, “uscì dall’acqua”. Come se proprio l’abbassamento, fino alla morte e alla morte di croce (Efesini), coincidesse col Suo innalzamento glorioso. Se, infatti, una certa spiritualità, preoccupata di affermare anzitutto la grandezza di Dio, ci ha come abituati a immaginarLo distante dagli uomini, tutt’‘altro’ dall’umanità, la rivelazione che avviene proprio in occasione del Suo Battesimo ci testimonia ben altro. Pur restando vero che Gesù è ‘altro’ rispetto a qualsiasi riduzione che di Lui si potrebbe fare, tuttavia non è più ‘altrove’ rispetto all’intera comunità degli uomini.
In Gesù Dio è e rimane definitivamente Se stesso. In ragione di questa estrema vicinanaza e solidarietà nei nostri confronti.
Se, per un verso, Gesù ha umanizzato Dio avvicinandoLo a noi, per un altro ha ancora più senso affermare che Gesù è così profondamente umano proprio perché Dio stesso, nella Sua verità estrema, è in Sé umano. Così che vedere Lui altro non è che vedere Dio: “chi vede me vede il Padre” (Gv 14).

Nell’umanità di Gesù si riversa e si esprime così tutta la divinità: “ed ecco, si aprirono i cieli”. Se in occasione della Sua morte si sarebbe poi squarciato il velo del tempio (Mt 27,51), Dio fino da questo momento non è più nascosto ai nostri occhi. Anzi, lo stesso desiderio del profeta Isaia trova qui compimento: “Oh, squarciassi tu i cieli, e scendessi! Davanti a te sarebbero scossi i monti” (Is 64,1). In tal modo Dio si è reso visibile proprio attraverso lo sguardo trasparente e profondo di Gesù. È Lui che vede (“egli vide”), dopo che i cieli si sono spalancati, “lo Spirito di Dio scendere”.
Chi è propriamente questo Spirito che Gesù vede con i Suoi occhi, lasciando che invada per sempre il Suo cuore? Là dove si esprime questa piena solidarietà con gli uomini, allora si rende evidente anche la pienezza dell’amore. Come se il cielo stesso si riversasse tutto sulla terra. Questo Spirito che ora scende su di Lui, sarà infatti anche consegnato, in forza di Lui, a ciascuno di noi a partire dall’esperienza della croce: “avendo di nuovo gridato con gran voce, rese lo spirito” (Mt 27,50).

Lo Spirito, infatti, è “come una colomba” che, aleggiando sulle acque, trasforma il cosmo dal caos: “La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell’abisso e lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque” (Gn 1,2). Così il Battesimo di Gesù inaugura una nuova creazione, superando definitivamente il caos generato dal diluvio: “la colomba tornò da lui verso sera; ed ecco, aveva nel becco una foglia fresca d’ulivo. Così Noè capì che le acque erano diminuite sopra la terra” (Gn 8,11).

Si avvia una spiritualità nuova. In Gesù Dio non solo si vede, ma si sente, concretamente: “Ed una voce dal cielo”. Dio, infatti, è anzitutto “una voce” che esprime quella stessa Parola che diventa, poi, volto nel Figlio Suo, che già Lo incarna e Lo identifica, irradiandoLo. Cosicché, se Lo dovessimo ascoltare davvero, anche noi potremmo diventare ‘come’ Lui: “ed ecco una voce dalla nuvola che diceva: ‘Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo’” (Mt 17,5).
Perché, dunque, Gesù è “il Figlio mio prediletto”? Egli è propriamente “questi” perché non può essere che così. Con questi tratti e non altri. Perché è “il Figlio mio prediletto”, cioè “l’amato”. Addirittura l’espressione rimanda all’immagine solenne dell’intronizzazione del figlio del re. Infatti: “‘Sono io’, dirà, ‘che ho stabilito il mio re sopra Sion, il mio monte santo. Io annunzierò il decreto: il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, oggi io t’ho generato’” (sl 2,6-7).

È nel Figlio che Dio Si è detto per quello che è. Infatti, in Lui “mi sono compiaciuto”. Dio, proprio in Lui, Si è totalmente detto agli uomini. Solo attraverso l’umanità di Gesù. Questo, e solo questo, Lo riempie di immensa gioia e soddisfazione. Come se solo facendo così, facendo cioè quello che il Figlio stesso deciderà di fare, Dio Si sentisse davvero realizzato. Identificato. Giungendo così al compimento pieno del Suo stesso amore. Del Suo essere amore. Dio, a partire dal Figlio non ha altro da dire. Non ha altro da desiderare per amore nostro.

Cari amici e care amiche, di domenica in domenica ci è data la grazia grande di continuare ad accostarci a qualche aspetto, a qualche frammento di questa divina e singolare rivelazione. La grazia grande non tanto di ‘avere’ Dio, ma di poter stare davanti a Lui. Di poterLo incontrare, amandoLo. Proprio come Lui stesso ci ha insegnato.

A tutti una buona domenica ancora

10 commenti:

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