mercoledì 21 febbraio 2007

Il Vangelo - Domenica 25 febbraio 2007


Duccio di Buoninsegna (1255/60 - 1319), Gesù tentato da Satana

Matteo 4,1-11
: [1]Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per esser tentato dal diavolo. [2]E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. [3]Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, di' che questi sassi diventino pane». [4]Ma egli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». [5]Allora il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio [6]e gli disse: «Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede». [7]Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo». [8]Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: [9]«Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai». [10]Ma Gesù gli rispose: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto». [11]Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano.


Cari amici e care amiche,
con domenica prossima (25 febbraio 2007) inizia la Quaresima, anche nella diocesi di Milano.[1] E’ tradizione ambrosiana che le letture proposte durante le celebrazioni quaresimali vengano ripetute tutti gli anni, diversamente dal criterio seguito nel Rito Romano, che propone una rotazione triennale per la Quaresima (anno A, B e C). Si spiega così il fatto che ogni anno, in occasione della prima domenica di Quaresima, ci venga ancora proposto l’episodio delle tentazioni di Gesù, secondo la redazione di Matteo (4,1-11).

Merita notare subito l’uso dissacrante del termine ‘tentazione’ applicato a Gesù. Già una ventina d’anni fa era stato prodotto un film, il cui titolo giocava proprio in questo senso (“L’ultima tentazione di Cristo”, Martin Scorsese, 1988)[2]. Il fatto è che certe produzioni cinematografiche e giornalistiche cadono spesso nella tentazione di semplificare vistosamente il vangelo di Gesù. Operando riduzioni e costrizioni del mistero del Signore che, non rispettando il Vangelo, rispondono piuttosto alle loro attese e ai loro pregiudizi. Nell’illusione di voler riscoprire in modo genuino e diretto l’umanità di Gesù, verrebbe ignorata la Sua realtà di uomo-Dio.
Non è casuale, infatti, che il diavolo, accostandosi a Gesù, si introduca dicendo due volte: “Se sei Figlio di Dio” (Mt 4,3.6). Perché intende così provocarLo, tentarLo, su un punto preciso: quella coscienza piena della propria umanità-divinità che Gesù aveva acquisito poco prima, in occasione del Battesimo presso il fiume Giordano (Mt 3,13-17: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”). Capovolgendo così il progetto del Padre, il diavolo dice: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai” (Mt 4,9).
In questo senso il termine ‘tentatore’ - usato da Matteo al v. 3, e, in modo indiretto anche da Gesù, in risposta alla seconda tentazione: “non tentare il Signore Dio tuo” (Mt 4,7) – cxi introduce a comprendere meglio la natura insidiosa del diavolo o di satana (come Gesù stesso dirà al termine dell’episodio: “Vattene satana”, Mt 4,10). Consapevoli che è proprio di questo essere malefico camuffarsi in modo subdolo e intrigante. Ingenerando nel dinamismo comprensibile della nostra fame (“dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame”, Mt 4,2), aspettative false. Non solo nei confronti della realtà delle cose che ci circondano (i sassi che potrebbero diventare pane, il Tempio che farebbe da trono per le nostre l’ambizione, l’altezza del monte che avvalorerebbe possibili manie di potere e di grandezza), ma insinuandosi soprattutto nelle pieghe della nostra interiorità. E, dunque, della stessa coscienza (o consapevolezza) di Gesù, Figlio unigenito di Dio.

Dove punta allora propriamente la tentazione diabolica? Come intendeva colpire Gesù, facendoLo scivolare rovinosamente? Il Diavolo (“il divisore”, il rompiscatole più grande che il mondo abbia mai conosciuto e ancora non conosce come dovrebbe) voleva spezzare il singolare e profondo legame di Gesù col Padre Suo. In questo senso è bene chiarire che le tre tentazioni di Gesù sono da leggere sinteticamente come tre approcci coi quali il diavolo, sfacciatamente, chiede a Gesù, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, di non essere tale. Di non essere certo Figlio di Dio e, al tempo stesso, di non essere quell’ uomo che è, radicalmente, proprio il Figlio di Dio. Così come il Padre Suo Lo ha voluto e amato, sino a compiacerSi di Lui (Mt 3,17).
Sarebbe a questo punto importante far passare le tre tentazioni per declinare meglio a quali sottigliezze sa arrivare il diavolo. La tentazione per Gesù di trasformare delle pietre in pane e non anzitutto trasformare se stesso, per amore, nel pane di vita vero (Gv 6,32); la tentazione del sensazionalismo religioso, in forza della quale, calandoSi dall’alto, si faanche molto rumore, sino a far parlare di Sé, ma non del Padre Suo (Gv 8,29); la tentazione, infine, del potere, propria di chi vorrebbe anche possedere tutto, ma vendendoSi, comunque, al più grande falsario del mondo (Gv 10,30).

Ci sarebbero anche altre osservazioni. Penso all’uso raffinato della Scrittura messa in atto dal diavolo nell’intento di raggirare un Maestro, un Rabbì già affermato come Lui. Ma è bene guadagnare qualche considerazione più circoscritta a noi.
Anzitutto, il fatto che, avviandoci nel cammino quaresimale che ci porterà diritti alla Sua Pasqua, il mistero di Gesù è davvero molto più grande e affascinante di come lo possiamo immaginare. E la tentazione diabolica di ridurLo ai nostri schemi e alle nostre attese è sempre in agguato. In questo caso, un approccio sempre più attento e corretto alla Parola di Dio, soprattutto in questo nostro tempo, è determinante per poterGli stare davanti davvero, accogliendo Gesù per quello che è e non per quello che noi vorremmo che fosse.
Ma è chiaro che, guardando a Gesù – che passando attraverso l’esperienza della tentazione, ha potuto rischiare di non essere veramente Se stesso, di non essere Dio – possiamo capire che è sempre possibile, anche per ciascuno di noi, cadere nella tentazione di non essere davvero quello che dovremmo essere secondo il cuore di Dio. Incapaci, cioè, di esprimere, pienamente e fino in fondo, quella stessa umanità che ci è stata donata di assumere e di realizzare. Il fatto che i credenti imparino, giorno dopo giorno, ad essere uomini veri, ad essere anzitutto e semplicemente tali, non è scontato per nessuno. Se non lo è stato per Gesù, non è difficile immaginare che non lo sarà neppure per la realtà della Chiesa dei Suoi discepoli.

Proprio l’Eucaristia domenicale ci introduca in questo esercizio settimanale. Dove Gesù – così umano e così divino ad un tempo, anche e in forza dell’esperienza della tentazione – ci viene donato nella sapienza della Sua Parola - “Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt 4,4) – e nella singolarità del Suo Corpo glorioso: “Allora il diavolo lo lasciò ed ecco angeli gli si accostarono e lo servivano” (Mt 4,11).

Buona domenica a tutti e buona Quaresima.

don Walter M. (donwalter@unibocconi.it)

[1] Nel rito Romano la Quaresima è iniziata col Mercoledì delle Ceneri (mercoledì 21 febbraio), mentre il rito Ambrosiano fa iniziare la Quaresima con la domenica successiva.“Esistono tre spiegazioni, tutte e tre risalenti all'epoca in cui Sant'Ambrogio era il vescovo di Milano. Nella versione leggendaria, il Papa aveva promesso di esaudire un desiderio all'uomo che fosse riuscito ad appendere il proprio mantello a un raggio di sole. Sant'Ambrogio andò da lui e, essendo santo, riuscì nell'impossibile impresa, ma a causa di quella trasferta a Roma si perse il Carnevale nella sua città. Quindi chiese al Pontefice di prolungare il Carnevale milanese di qualche giorno, cosicché lui potesse tornare in tempo per goderselo. Da allora, il Carnevale Ambrosiano dura quattro giorni in più di tutti i Carnevali d'Italia. Nella versione storica si parla di una terribile pestilenza che colpì Milano, e fece rimanere la città in quarantena per moltissimo tempo. Durante la quarantena, ovviamente, i milanesi soffrirono la fame. La pestilenza fu dichiarata conclusa proprio il Mercoledì delle Ceneri, cioé la fine del Carnevale: ciò significava passare direttamente dal digiuno della quarantena a quello della Quaresima. Sant'Ambrogio, impietosito dalle sofferenze dei suoi cittadini, chiese al Papa di fare uno strappo alla regola e di concedere ai milanesi quattro giorni di Carnevale in più. E da allora lo strappo alla regola è diventato la norma. La terza spiegazione è la più semplice e, probabilmente, quella più veritiera. Siccome la Quaresima si rifà al periodo passato da Gesù nel deserto, e Gesù passò nel deserto quaranta giorni, i milanesi avevano deciso che la Quaresima doveva avere esattamente quella stessa lunghezza, né un giorno di più né uno di meno. E' per questo che, ormai da secoli, Milano festeggia un Carnevale più lungo delle altre città italiane”.
cf.
http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20070206013346AASsZ3j
[2] Gesù agonizzante sulla croce vagheggia (è il demonio che lo fa vagheggiare) una vita da marito e padre di famiglia con Maria Maddalena. Gesù recupera conoscenza, scaccia per l'ultima volta il diavolo, muore. E risorge dopo tre giorni.

mercoledì 14 febbraio 2007

Il Vangelo - Domenica 18 Febbraio 2007

Il pellicano - smalto del tabernacolo della Chiesa di San Ferdinando (Università Bocconi)


Luca 6,27-38: [27]Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, [28]benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. [29]A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. [30]Da' a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. [31]Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. [32]Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. [33]E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. [34]E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. [35]Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell'Altissimo; perché egli è benevolo verso gl'ingrati e i malvagi. [36]Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. [37]Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; [38]date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio.

Cari amici e care amiche,

da quando Dio, in Gesù, ha detto d’essere l’Amore (“Dio è amore”, 1Gv 4,8), non si tratta più di definirLo, immaginando il Suo volto (come fanno un po’ tutte le religioni), ma piuttosto di riamarLo e di amare come Lui ci ha insegnato: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso” (Lc 10,27).

In questo senso, tutte le esortazioni ad amare contenute nel brano evangelico che sarà letto nella celebrazione eucaristica di domenica prossima (18 febbraio 2007, VII domenica del Tempo Ordinario), non sono una sequenza di precetti morali – “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra e a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica” (Lc 6,27-29) –, ma la dimostrazione di come sa amare Dio. In modo folle, oltre i nostri schemi e il nostro buon senso.
Che questa sia la chiave di lettura del brano evangelico lo dice proprio Gesù, quando afferma: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36).

Stabilito l’impianto teologico del discorso di Gesù, possiamo anche addentrarci in alcuni passaggi di Luca 6,27-38. E, per quanto si tratti sempre di considerazioni non scontate a riguardo dell’amore, è però confortante sentirci anzitutto amati così da Dio, sino al dono stesso di Gesù, Suo Figlio (Gv 3,16). Gesù, infatti, non ci ha solo invitati ad amare in un certo modo, ma ci ha concretamente dimostrato che proprio l’amore di Dio, il Suo stesso modo di amare, è possibile anche umanamente. Come ci volesse convincere che amare così come Lui ci ha amati (Gv 13,34) è l’unica strada che vale la pena percorre nella vita.
Anzi, amare con questo slancio e con questa gratuità, è persino bello. Non è casuale, infatti, che l’espressione usata da Gesù: “fate del bene” (Lc 6,33.35) potrebbe essere anche meglio percepita nella prospettiva del bello, più che del buono. Perché amando come Lui ci ha insegnato non comporta solo qualcosa di buono, ma soprattutto qualcosa di particolarmente bello. Persino piacevole, amabile e desiderabile. Se il buono potrebbe comportare una soddisfazione legittima, il bello raggiungerebbe direttamente il cuore della persona amata, generando ancora sorpresa e stupore.

Che dire allora dell’amore ai nemici del quale Gesù parla a lungo (Lc 6,27.32.35)? Gesù è molto diretto: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare anche la tunica” (Lc 6,27-29). E potremmo chiederci: con quale misura Gesù ci sta chiedendo di amare i nemici? Possiamo eventualmente cercare di disquisire sui limiti, su dei criteri o delle possibili interpretazioni del caso, come se Gesù stesso dicesse: ‘mio caro, io amo così, ma tu fa’ come puoi, secondo le tue capacità e i tuoi limiti, la tua misura possibile’?
Se anche in ordine ai grandi valori che l’uomo da sempre ricerca (la verità, la giustizia o la pace) è comprensibile la ricerca di una via di mezzo possibile (in medio stat virtus), questo non è il caso dell’amore, così come Dio ce lo ha regalato con Gesù. L’amore che Gesù ci ha insegnato è semplicemente disarmante e disarmato. Non ha limiti. Se si ha la grazia di poterlo intravedere – questa è la nostra fede! – non si può che cercare di raggiungerlo, radicalmente e senza mezze misure. Questo ci hanno detto anche i santi. Perché questo è l’amore di Dio. L’amore che “è Dio”.

Ma sarebbe anche importante evidenziare un’altra caratteristica del modo di amare al quale Dio stesso ci invita e ci sospinge. La gratuità, infatti, è la sua caratteristica più dirompente: “Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperare nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi” (Lc 6,32-36). Quanto sia attuale l’esigenza della gratuità nell’amore è innegabile. Se non va contrapposto l’amore gratuito di Dio e il nostro profitto egoistico (si pensi a quali livelli di sfruttamento soggiace l’amore erotico), tuttavia sarebbe una grande conquista se i discepoli di Gesù, già da dentro la Chiesa, riuscissero a stabilire il primato della gratuità su qualsiasi forma di profitto.

Cosa significa, in fondo, celebrare, di domenica in domenica, l’Eucaristia? Sicuramente continuare a riascoltare la bellezza insuperabile dell’amore della parola di Gesù: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati: perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato” (Lc 6,37-38). Uscendo poi dalla chiesa sentendosi accompagnati da questo detto di Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere” (At 20,35).

Ancora buona domenica a tutti.